BW&BF

giovedì 31 luglio 2014

Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo - Jerome K. Jerome (1895)

"Quando non giocava a tennis o si esercitava a giocare a tennis, o leggeva cose di tennis, parlava di tennis. A quel tempo, il personaggio più importante del mondo tennistico era Renshaw, e continuò a nominarmi Renshaw fino a che, in cuor mio, non crebbe un cupo desiderio di uccidere Renshaw, senza farmi né sentire né vedere, e quindi seppellirlo.
In un pomeriggio di pioggia intensa mi parlò di tennis per tre ore filate. Dopo il tè accostò la sedia alla finestra, accanto a me, e attaccò:
<<Avete mai notato il modo in cui Renshaw...>>
Io dissi:
<<Ammettiamo che uno prenda un fucile - parlo di uno con un'ottima mira - vada da Renshaw e gli spari, facendolo secco, voi tennisti riuscireste a scordarvelo e a parlare di qualcos'altro?>>
<<Oh, ma chi sparerebbe mai a Renshaw?>> disse indignato.
<<Non importa, ammettiamo che qualcuno lo faccia>>
<<Bè, allora ci sarebbe suo fratello>> rispose.
Me n'ero dimenticato."
Jerome Klapka Jerome (da 'Il cultore di hobby')

RECENSIONE
Amici generosi ma casinisti, persone altruiste fino a risultare moleste, signorine capricciose. E ancora: mogli dispotiche, bambini terribili, gatti diabolici...
È tutto racchiuso qui, in breve, il mondo di Jerome. Ed è sempre da qui che lo spassosissimo scrittore inglese prendeva spunto per i suoi divertenti racconti altamente vietati a chi è abituato a prendersi troppo sul serio. La sublime arte dello sberleffo, della presa in giro alle mode e alle manie che già allora imperversavano nel Regno Unito, il tutto raccontato con un sarcasmo spesso davvero graffiante ma mai offensivo. 
In questo volumetto di un centinaio di pagine troviamo una serie di brevi storie che Jerome scriveva abitualmente per alcune riviste con lo scopo di raggranellare qualche sterlina in più durante i periodi "di magra". Ma, sebbene non siamo certamente ai livelli altissimi di I pensieri oziosi di un ozioso o della sua opera più nota, quel Tre uomini in barca scritto quasi per scherzo, si commetterebbe un grave errore a considerare questa raccolta come un libro di "serie B" o, ancora peggio, un banale riempitivo per completare una sezione della libreria.
Già perchè, se è pur vero che in Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo sono presenti un paio di racconti un po' di maniera, va anche detto che diversi episodi sono, ancora una volta, tutti da ridere. Un esempio lampante in tal senso è senza dubbio L'uomo che "badava" oppure L'uomo distratto, stupendi resoconti delle nevrosi e delle ossessioni che già alla fine del XIX secolo colpivano l'uomo moderno, come avviene anche in L'uomo abitudinarioLo spirito di Whibley o ne Il cultore di hobby, dove viene analizzata e messa in ridicolo la frequente tendenza dell'adulto a divenire a tutti gli effetti una vittima dei propri riti, delle proprie credenze e delle proprie passioni.
Nella bellissima prefazione a questo volume a cura di Francesco Piccolo, c'è un passaggio assolutamente illuminante che credo valga la pena di riproporre:
"In tempi bui, ha più valore anche il mondo di Jerome. In tempi bui, stuzzicare buonumore, intelligenza e analogie impensabili, è una specie di beneficenza per l'umanità." 
E allora, se per caso vi sentite un po' giù pensando alle miserie dell'attuale comicità italica fatta principalmente di stantii luoghi comuni e battute squallide, lasciatevi andare, rilassatevi e fatevi condurre dalla sapiente mano di uno dei più grandi umoristi di sempre, senza deprimervi troppo perchè "non può piovere per sempre", oppure, per citare lo stesso Jerome, è risaputo che:
"Ogni medaglia ha il suo rovescio, come disse quell'uomo a cui presentarono il conto per il funerale della suocera".
Ed ora pensate a Zelig, Colorado o ai benvenuti al sud/nord e altre amenità del genere che molti hanno pure il coraggio di spacciare per "comicità intelligente".
Ok, deprimetevi pure.

BF

Nella nostra libreria:
Jerome K. Jerome
Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo. Storie e bozzetti in verde, blu e lavanda (Sketches in Lavander, Blue and Green)
ed. Edizioni Spartaco
109 pag.
traduzione di Giovanni Giri




mercoledì 30 luglio 2014

500 cose che mi ha detto il gatto - Adam Post (2012)

"Ebbene sì, parlo con il mio gatto. E allora? Il fatto è che... il piccolo tiranno l'adorabile creatura è così espressiva che sembra rispondermi."
Adam Post

RECENSIONE
Leggendo le prime, accattivanti righe di 500 cose che mi ha detto il gatto non si può non incuriosirsi e provare l'irrefrenabile desiderio di scoprire cosa si cela dietro questo curioso titolo.
Ebbene, ESATTAMENTE QUELLO CHE DICE: 500 "aforismi", o immaginarie citazioni, imputate ai gatti da migliaia e migliaia di padroni in tutto il mondo.
E così, si va da:
"20 Prendimi in braccio"
a:
"21 Okay, adesso puoi rimettermi giù"
"22 Ho detto adesso!!!"
e così via, per 500 brevi frasi.
L'idea di per sè è anche carina, e sicuramente ai possessori di questi strani esseri pelosi strapperà qualche sorriso, perché davvero i mici, a volte, sembra che ti parlino, non solo con i loro miagolii, ma anche e soprattutto con il linguaggio del corpo.
Fatto sta però che dopo un po' (almeno questo è valso per la sottoscritta) ci si stufa, e viene da riporre il libro, senza troppi rimorsi. Nell'introduzione l'autore dice di aver eliminato nella seconda edizione le foto che erano presenti nella prima (erano comunque solamente tre); al loro posto, accanto o sopra ogni aforisma, c'è un piccolo disegno di un gatto. Ahimé, però, il disegno non rispecchia affatto, come avevo creduto in un primo momento, la relativa frase, bensì è fine a sé stesso: un vero peccato, perché il contrario avrebbe reso molto più interessante l'opera, che avrebbe potuto essere utilizzata come una sorta di "dizionario" felino-umano.
Il libro può comunque essere un'idea originale come regalo da fare ad un gattofilo, anche se va detto che non è proprio portafoglio-friendly: 8,90 € sono un filo eccessivi per un'opera di questo genere. Almeno, così mi ha detto il mio gatto.

BW

Nella nostra libreria:
Adam Post
500 cose che mi ha detto il gatto (500 things my cat told me)
ed. Magazzini Salani
167 pag.
traduzione di Silvia Banterle

martedì 29 luglio 2014

L'incanto del lotto 49 - Thomas Pynchon (1966)

"Forse alla fine sarebbe stato questo a ossessionarla di più: come tutto, logicamente, si combinava. Quasi che (lo aveva già indovinato in quel primo minuto a San Narciso) fosse in atto attorno a lei una rivelazione."
Thomas Ruggles Pynchon

TRAMA
La vita della casalinga californiana Oedipa Maas, sposata con il deejay radiofonico Wendell Maas, detto Mucho, viene stravolta il giorno in cui scopre di essere stata nominata esecutrice testamentaria da parte di Pierce Inverarity, ricchissimo imprenditore nonchè suo ex fidanzato.
Oedipa parte così per San Narciso, cittadina in cui si dovranno espletare tutte le relative pratiche e dove viene contattata dal co-esecutore, l'avvocato Metzger, bellissimo e con un passato da baby star di Hollywood. Per la giovane casalinga inizia così un'avventura a dir poco surreale dove, seguendo una lunga serie di indizi, verrà a conoscenza di una cospirazione vecchia addirittura di secoli.

RECENSIONE
Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata confrontarsi con un lavoro di Thomas Pynchon, da più parti considerato il padre della cosiddetta letteratura postmoderna, ero stato ampiamente avvertito in tal senso, però alla fine ho deciso di tentare ugualmente ed, ahimè, devo dire che ho perso la scommessa con me stesso. Qual'era la suddetta scommessa? Semplice: leggere e capire un libro dell'autore americano più schivo ed impenetrabile di sempre. Ho scelto così il romanzo che tutti gli esperti indicano come il più adatto per prender confidenza con lo stile schizoide di Pynchon, L'incanto del lotto 49, e mi vedo costretto ad ammettere che, purtroppo, non ci ho capito nulla. 
Leggo sulla rete elogi sperticati a questo autore e al valore di quest'opera (cose che non metto minimamente in discussione, sia chiaro) e mi sento davvero un povero stupido, possibile che sia l'unico ad averne ricavato nient'altro che un gran mal di testa? Intendiamoci, io non mi ritengo un critico o un esperto ma solo uno a cui piace leggere (anche cose coraggiose e fuori dagli schemi, come è senz'altro in questo caso), però dovendo dare un mio giudizio su L'incanto del lotto 49 non sarei onesto se dicessi che sono riuscito a cogliere ogni sfumatura e/o riferimento presenti in questo testo. 
Potrei mettermi a tessere le lodi della straordinaria inventiva dello scrittore di Glen Cove, del suo modo impareggiabile di trascinare il lettore all'interno di una lunga serie di scatole cinesi, potrei scopiazzare alla carlona la recensione di qualche critico illuminato tanto per darmi un tono di grande intenditore e di persona acutissima, ma il problema è che non farei altro che raccontare un sacco di balle. 
E allora preferisco passare da ignorante, ma onesto. Io non dico che questo libro sia bello o brutto, semplicemente perchè non sono riuscito a capirlo. Limite mio, ci mancherebbe... Evidentemente mi sono cimentato con qualcosa che attualmente va al di là delle mie possibilità. Cose che capitano. Sarei solo curioso di sapere tra tutti coloro che affermano che di questo romanzo si parlerà anche tra tre secoli e che paragonano Pynchon a qualcosa di simile ad un supergenio, in quanti abbiano davvero compreso il senso de L'incanto del lotto 49. Io non ne sono stato in grado e lo confesso sinceramente.

BF

Nella nostra libreria:
Thomas Pynchon
L'incanto del lotto 49 (The Crying of Lot 49)
ed. Einaudi Stile Libero
174 pag.
traduzione di Massimo Bocchiola 

 


lunedì 28 luglio 2014

Vita di una donna licenziosa - Ihara Saikaku (1686)

"Gli uomini con cui avevo stretto una relazione erano così numerosi da non poterli quasi ricordare, mentre esistevano donne che in tutta la loro vita conoscevano un unico uomo e che, se costui moriva, non cercavano un altro ma, colpite profondamente dal dolore della separazione dalla persona amata, lasciavano la loro casa per divenire monache."
La narratrice

TRAMA
Mentre si reca a Saga, l'autore si unisce a due uomini, entrambi tormentati dalle pene d'amore. I tre giungono ad una capanna nel bosco dove, solitaria come un'eremita, vive un'anziana donna.
Come una nipponica Shahrazād, la donna racconta ai tre le vicende della sua vita da cortigiana, dal suo massimo splendore, quando la sua sola compagnia fruttava denari, sete e doni preziosissimi, al suo declino.
Sesso, potere, arguzie, ma anche, e soprattutto, tanta psicologia: questi erano gli elementi necessari per vivere e sopravvivere come libertina nel Giappone feudale del periodo Edo.

RECENSIONE
È incredibile come un romanzo scritto nel XVII secolo possa risultare tanto moderno per certi aspetti: innanzitutto per i temi trattati, ovvero il sesso e l'erotismo, che nonostante la loro centralità vengono proposti quasi fuggevolmente, senza nulla dire ma lasciando intendere molto; ma la cosa che forse mi ha più colpita è la storia che si ripete sempre immutata, anche se i secoli passano e se ci si sposta di quasi diecimila chilometri: allora come oggi, in Giappone come in Italia, le donne con la fortuna di avere un aspetto gradevole potevano raggiungere posizioni di potere, oltre a guadagnare i beni più preziosi, grazie al loro corpo, non solo "giacendo con gli uomini", ma anche solo mostrandosi gentili con loro. Effettivamente non dovrebbe stupire così tanto, in fondo i quattro secoli appena che si separano dal mondo di Ihara Saikaku, paragonati alla storia dell'evoluzione dell'uomo, sono un tempo brevissimo; è dunque naturale l'istinto che ci spinge a comportarci in questo modo.
Darwinismo a parte, Storia di una donna licenziosa è un libro molto interessante dal punto di vista storico-culturale per tutti coloro che desiderino approfondire la loro conoscenza del Giappone feudale, grazie anche alle numerose note che integrano l'opera, anche se purtroppo sono tutte riportate in fondo ad essa, rendendo un po' meno scorrevole la lettura. Si può comunque ovviare a questo "problema" leggendo il romanzo per esteso e riprendendo le note solo alla fine, come ho fatto io.
Il volume è poi impreziosito ulteriormente dalle illustrazioni di Yoshida Hanbei, risalenti anch'esse al tardo XVII secolo.
Un'opera fuori dagli schemi, il cui fascino ha superato i secoli e le distanze, e che consiglio senza dubbio agli amanti del Paese del Sol Levante; ovviamente, purché si tratti di un pubblico adulto.

BW

Nella nostra libreria:
Ihara Saikaku
Vita di una donna licenziosa (好色一代女 - Kōshoku ichidai onna)
ed. ES
201 pag.
traduzione di Lydia Origlia

 

domenica 27 luglio 2014

La testa perduta di Damasceno Monteiro - Antonio Tabucchi (1997)

"<<Sa cosa diceva De Quincey?>>
<<Cosa diceva?>>
<<Diceva: se un uomo si lascia andare una volta a uccidere, molto presto arriverà a considerare cosa da poco la rapina, e da qui passerà al bere e a non osservare le festività, quindi a comportarsi in modo maleducato e a non rispettare gli impegni, una volta avviatosi per quella china non si sa dove andrà a finire, e molti devono la propria rovina a questo o a quell'assassinio al quale sul momento non avevano badato granchè. Fine della citazione.>>"
Avv. Mello Sequeira e Firmino

TRAMA
In una zona boscosa e malfamata di Oporto, un gitano di nome Manolo rinviene una mattina un cadavere decapitato. Il corpo, che reca evidenti segni di tortura, è vestito con scarpe da tennis, jeans ed una maglietta blu recante la scritta "Stones of Portugal". Della testa nessuna traccia. Firmino, giovane reporter del quotidiano di Lisbona O Acontecimento, viene inviato così sul posto per cercare di scoprire qualcosa di più su un crimine che presenta una serie di risvolti estremamente inquietanti. Qualche giorno dopo la testa viene ripescata nel Douro da un anziano pescatore. Il cranio, appartenente ad un ragazzo di nome Damasceno Monteiro, presenta un foro di proiettile. Cosa si cela dietro a questo mistero?

RECENSIONE
Antica e piena di fascino, adagiata tra l'Oceano ed il fiume Douro, Oporto è una città portoghese un po' atipica: industrializzata, patria del famoso vino, umida e d'inverno spesso nebbiosa, viene definita talvolta una sorta di piccola Londra lusitana. Ed è in una città così atipica, moderna ma al tempo stesso orgogliosa del proprio passato che Tabucchi inscena questo thriller altrettanto atipico. 
Col suo consueto stile asciutto e ricco di citazioni e rimandi, il romanziere toscano confeziona un'opera che in realtà è tante cose in una: indagine giornalistica, saggio, guida turistica, ricostruzione storica. Tutto quanto "mascherato" da romanzo giallo.
Infatti il colpevole ed il suo movente non tardano ad arrivare, ma l'impressione è appunto che in questo libro la trama narrativa sia quasi un piccolo espediente del quale Tabucchi fa un abilissimo uso per parlare di molto altro. Prendendo come spunto una vicenda realmente avvenuta, l'autore crea un personaggio davvero memorabile, l'avvocato Mello Sequeira, obeso e difensore degli emarginati, capace di ragionamenti bizzarri eppur geniali allo stesso tempo (fantastico il paragone tra le discussioni alla sede dell'ONU ed il gioco di carte del Milligan), che pare uscito direttamente da Testimone d'accusa di Billy Wilder. L'avvocato Sequeira è lo strumento di cui Tabucchi si serve per elencare ad esempio una triste lista di feroci abusi perpetrati nelle caserme e nei commissariati di tutto il mondo, indipendentemente dal credo politico degli aguzzini che si rendono responsabili di simili bestialità in quanto "La tortura può venire da ogni parte, è questo il vero problema".
E poi, come frequentemente avviene nei libri del compianto autore di origine pisana, anche ne La testa perduta di Damasceno Monteiro assistiamo ad un sincero e profondo atto d'amore per il Portogallo, la sua gente e le sue tradizioni. Ma questa volta il sipario si alza su Oporto, che rivaleggia da secoli con la più raffinata e superba Lisbona, e Tabucchi ci rende meravigliosamente partecipi anche di questo: un po' di sano e fiero campanilismo tra una città che all'apparenza contrappone la sostanza, una città "dove i tassisti non sono ladri, come a Lisbona..." e che propone una cucina rustica a base di trippa rispetto a quella incentrata sul celebre bacalhau della capitale.
Al di là del mio giudizio su questo libro, comunque più che positivo, una cosa che credo vada sottolineata è che a me Tabucchi ha messo addosso una gran voglia di visitarla davvero, Oporto. E se questo in futuro succederà, dovrò solo ringraziare La testa perduta di Damasceno Monteiro.

BF

Nella nostra libreria:
Antonio Tabucchi
La testa perduta di Damasceno Monteiro
ed. Universale Economica Feltrinelli
238 pag.


sabato 26 luglio 2014

Assassinio sull'Orient Express - Agatha Christie (1934)

"Signor Ratchett, voglia scusarmi se vengo a un argomento personale; ma vede, non posso accettare la sua proposta perchè la sua faccia non mi piace."
Hercule Poirot

TRAMA
Appena arrivato a Istambul di ritorno da Aleppo, dove ha appena concluso un incarico, Hercule Poirot vuole finalmente godersi un po' di meritate vacanze; ma, ahimé!, arrivato all'hotel dove ha prenotato una stanza trova un telegramma che lo prega di tornare urgentemente a Londra. Un po' seccato per l'imprevisto, il piccolo investigatore riesce a prendere l'ultimo dei posti disponibili sul celeberrimo Orient Express, che, stranamente per quel periodo, registra così il tutto esaurito.
A bordo il belga scopre che i passeggeri formano un variegato melting pot, in cui uomini e donne di diversa nazionalità, ceto sociale ed età trascorrono insieme i tre giorni che occorrono per arrivare a Parigi. Tra di essi c'è anche il misterioso Signor Ratchett, un anziano dai lineamenti crudeli e malvagi, sul quale Lombroso avrebbe probabilmente scritto interi trattati. L'uomo, riconosciuto l'investigatore, gli chiede di fargli da guardia del corpo, sostenendo di essere in pericolo di vita.
Ma Poirot rifiuta di prestare servizio ad un losco figuro come Ratchett; il quale ha però ragione di temere per la propria vita: una notte, mentre il treno è bloccato a causa della neve, viene pugnalato a morte.
Un omicidio misterioso, la cui indagine viene resa ancora più difficoltosa dal fatto di essere bloccati in mezzo alla neve; riuscirà Poirot a scoprire anche stavolta chi è la persona che si è macchiata di questo tremendo delitto?

RECENSIONE
Agatha Christie era una grande, grandissima scrittrice, e lo sappiamo. Era soprannominata "la regina del giallo", e lo sappiamo. E anche chi non ha ancora letto Assassinio sull'Orient Express non può non sapere che è uno dei suoi romanzi più famosi, se non addirittura il più celebre in assoluto. Perché questo?
Ecco, trovo che solo chi non ha mai avuto il piacere di leggerlo può porsi questa domanda; in esso ci sono tutti gli elementi necessari per renderlo il giallo perfetto: un omicidio misterioso, sulla cui vittima veleggia un ombra maligna; un detective che ragiona fuori dagli schemi, minando ulteriormente le ipotesi di colpevolezza che tendiamo a fare; uno scenario spettacolare ed affascinante, il lussuoso Orient Express, seppure (o forse anche grazie al fatto di essere) bloccato in mezzo al nulla dalla neve; ed infine un considerevole numero di sospettati, vagliati e mentalmente accusati
ad uno ad uno dal lettore, salvo poi passare al successivo.
Credo che per evitare di darvi il benché minimo indizio che possa rovinarvi il piacere della lettura debba fermarmi qui, perché non vi è proprio nient'altro da dire: leggete Assassinio sull'Orient Express, e saranno le sue pagine a parlare.


BW

Nella nostra libreria:
Agatha Christie 
Dalla raccolta "Le grandi indagini di Poirot"
Assassinio sull'Orient Express (Murder on the Orient Express)
ed. Oscar Mondadori
206 di 670 pag.
traduzione di Alfredo Pitta

venerdì 25 luglio 2014

Dal libro al film: I Commitments - Roddy Doyle (1987)

"<<Che fai? Ti sei messo a vendere droga o roba del genere?>>
<<IOO? NO>> disse Jimmy
<<Allora che ci vengono a fare tutti 'sti coglioni a bussare alla porta?>>
<<Sto facendo dei provini.>>
<<Dei cosa?>>
<<Pro-vi-ni. Vogliamo formare un gruppo... Una band.>>
<<Chi, tu?>>
<<Sì.>>
<<E chi cazzo sei, Dickie Rock? C'è giù uno stronzetto in moto che chiede di te.>>"
Jimmy Rabbitte senior ed il figlio, Jimmy

IL LIBRO 
Barrytown, periferia nord di Dublino, anni ottanta. 
Jimmy Rabbitte è un grandissimo appassionato di musica e viene considerato da tutti come uno dei massimi esperti in materia così, quando i suoi due amici Outspan e Derek intendono dare una svolta alla propria band, si rivolgono a lui in cerca di alcune dritte.
Jimmy, ambizioso per natura, accetta così di diventare il loro manager ma chiede ai due carta bianca fin da subito. Il primo passo consiste nel licenziamento di Ray, l'attuale cantante, dopodichè il giovane Rabbitte annuncia ai due amici che è giunta l'ora di formare una band che rispecchi in tutto e per tutto il vero spirito di Dublino; un gruppo proletario che suoni musica per i proletari. Il loro genere d'ora in avanti sarà il soul, e si chiameranno Commitments, con l'articolo determinativo "The" davanti, proprio come tutti i grandi complessi degli anni sessanta.
A questo punto inizia una lunga serie di audizioni per trovare gli elementi mancanti che Jimmy recluta un po' tra gli amici del quartiere, un po' al lavoro, ed un po' tramite annunci sulle riviste specializzate.
E così abbiamo ben presto una band formata dal cantante Deco, talentuoso ma spaccone, il pianista James che suona l'organo in chiesa tra un'esame di medicina e l'altro, il timido sassofonista Dean, il batterista orfano di padre Billy, Derek al basso, Outspan alla chitarra e le tre splendide coriste Bernie, Natalie ed Imelda, tanto carine e brave quanto sboccate.
Ma colui che consente al gruppo di fare un salto di qualità arriva un giorno a bordo di una moto; è pelato, grassoccio e dimostra almeno una cinquantina d'anni. Joey "The Lips" Fagan, così dice di chiamarsi il bizzarro personaggio, suona la tromba come pochi, ha accompagnato tutti i mostri sacri del genere, da Sam Cooke a James Brown, ed afferma di essere stato mandato dal Signore a portare il soul ai fratelli irlandesi. In più Joey ha riconvertito il garage della propria madre a sala prove, ed il gioco è fatto! 
I Commitments in questo modo, dopo un buon periodo di rodaggio caratterizzato da qualche piccolo screzio dovuto soprattutto agli eccessi di Deco e presto appianati con abilità da Jimmy, sono pronti al debutto dal vivo. Che avviene in una sala ricreativa parrocchiale, per merito anche dell'opera di "convincimento" svolta da Mickah, un pazzo scatenato e violento ma molto leale con gli amici, che si ricicla ben presto come buttafuori ufficiale della band.
I Commitments migliorano concerto dopo concerto, ed attirano ormai un buon seguito di pubblico e l'interesse di alcuni giornalisti locali. Sembra dunque che la scalata al successo pianificata da Jimmy sia partita alla grande, ma quanto durerà questo stato di grazia?

IL FILM
Romanzo d'esordio di Roddy Doyle, I Commitments riceve fin dall'inizio recensioni più che entusiastiche e buonissime vendite, in virtù soprattutto della formula magica adottata dallo scrittore irlandese: trama lineare, incalzante e ritmata, personaggi tratteggiati benissimo ed una robusta e godibilissima dose di umorismo irish al cento per cento.
Così, sulla cresta dell'onda dei buoni riscontri ottenuti dal libro, qualche tempo dopo il regista Alan Parker dà il via alle riprese dell'omonimo film che uscirà nelle sale nel 1991.

  

The Commitments, pur presentando qualche piccola modifica rispetto al romanzo, si può comunque dire che sia molto fedele alla trama originaria, e non poteva essere altrimenti dal momento che è lo stesso Roddy Doyle ad occuparsi della sceneggiatura.
Bravo a cogliere l'essenza del libro, Alan Parker si limita ad inserire qualche tocco di poesia (e di retorica...) in più, che comunque non guasta, ma il suo principale merito è di riuscire a far rendere davvero al meglio una squadra di giovani attori che, in alcuni casi, non sono nemmeno professionisti veri e propri, ma semplici musicisti la cui performance davanti alla macchina da presa resterà un episodio isolato.
Manco a dirlo, tutto il film si avvale di una colonna sonora a dir poco strepitosa e, sebbene io non sia certo un appassionato di soul o rythm & blues, devo ammettere che le scene in cui la band si esibisce nei concerti suonando questi classici, risultano incredibilmente coinvolgenti e cariche di energia.
The Commitments farà incetta di Premi BAFTA ed arriverà ad ottenere una nomination agli Oscar 1992 per il montaggio, ed una come miglior film musicale ai Golden Globes. Inoltre Alan Parker grazie a questa pellicola, vincerà il premio come miglior regista al prestigioso Tokio International Film Festival del 1991.
Insomma, anche se non siete soulmen, il mio consiglio è di dare ugualmente un'occhiata sia al libro che al film, essendo entrambe le opere in grado di regalare numerosi momenti di divertimento e di evasione. E, come direbbe Joey "The Lips" Fagan:
"Aprite il vostro cuore ai Commitments, fratelli e sorelle!" 

BF

Nella nostra libreria:
Roddy Doyle
I Commitments (The Commitments)
ed. Guanda Editore
160 pag.
traduzione di Giuliana Zeuli

 
 





 

giovedì 24 luglio 2014

Vacanze in villa - Madeleine Wickham (2001)

"Un autentico paradiso andaluso, carissimi. Lo adorerete."
Gerard Lowe

TRAMA
A cosa serve disporre di una casa delle vacanze nientepopodimeno che in Andalusia se non ci si può invitare gli amici? E infatti Gerard, in uno slancio di generosità, promette la villa a Chloe e Hugh. Fin qui, nulla di strano; se non fosse che Chloe e Hugh non sono marito e moglie!
La ragazza confeziona abiti da sposa, pur non essendo sposata col compagno Philip, che sta vivendo un periodo difficile al lavoro e al quale un po' di riposo nella soleggiata Spagna non farebbe che bene.
Hugh invece ha moglie e figlie, anche se la prima sembrerebbe molto più presa dal cambio di arredamento della loro lussuosissima casa che dal marito.
Ok, d'accordo, due coppie si trovano a trascorrere le vacanze nella stessa casa durante lo stesso periodo; non c'è problema, la villa è grande e spaziosa, e le nove persone che compongono le due famiglie possono tranquillamente convivere senza intralciarsi a vicenda. Però... Però il destino ha giocato ancora più sporco, perché in passato Chloe e Hugh hanno avuto una relazione, e il passato torna a galla all'improvviso, rendendo il soggiorno ancora più ricco di imprevisti.

RECENSIONE
Se si tratta di creare dal nulla situazioni bizzarre e strampalate, la Wickham può essere superata solo dal suo alter ego Sophie Kinsella; e anche stavolta i protagonisti del suo romanzo si trovano vittime del loro passato, ma soprattutto da uno scherzo del destino.
Purtroppo, va detto subito, Vacanze in villa non è l'opera più brillante della scrittrice londinese: diversi passaggi e personaggi piuttosto scontati minano l'altissima qualità a cui ci ha abituati, viziandoci indubbiamente, e rendono la lettura meno scorrevole rispetto allo standard.
Se Becky, Milly e Fleur, tanto per citare qualcuno, le avevo considerate immediatamente alla stregua di vecchie amiche d'infanzia, di quelle con cui puoi parlare di tutto e, soprattutto, che ti fanno fare le risate più grasse e ti fanno versare le lacrime più sincere, lo stesso non mi è capitato con Chloe, Hugh, Amanda o Philip. L'unico personaggio che sembra davvero far parte del suo personalissimo pantheon di eroine è Jenna, "una tata che assomigliava più a Bob Marley che a Mary Poppins", ma sfortunatamente la sua figura è poco approfondita rispetto alle altre.
Leggendo qua e là sul web, devo dire che i fan affezionati non sono stati molto clementi con la scrittrice inglese: addirittura c'è chi dubita che sia stata effettivamente lei a scrivere quest'opera; non sono completamente d'accordo con loro: è vero che, come ho già detto, questo non è il libro che le è riuscito meglio, ma si tratta comunque di un romanzo piacevole.
In fondo, non tutte le ciambelle riescono col buco.


BW

Nella nostra libreria:
Madeleine Wickham
Vacanze in villa (Sleeping Arrangements)
ed. Mondadori Numeri Primi
261 pag.
traduzione di Nicoletta Lamberti

 

mercoledì 23 luglio 2014

Terre desolate - Stephen King (1991)

ATTENZIONE!!! Il libro di cui stiamo per parlare è il terzo della Serie della Torre Nera. Se non avete letto il precedente, intitolato La chiamata dei tre, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.


"<<Non tutto è silenzio nella dimora dei defunti. Guarda, il dormiente cammina.>>
<<Il demone...>>
<<No. È un mostro. Qualcosa che c'è fra le due porte, fra i mondi. Qualcosa che sta aspettando. E sta aprendo gli occhi.>>"
Eddie Dean e Roland di Gilead 

TRAMA
Al termine degli eventi narrati ne La chiamata dei tre, Roland e quelli che ora sono a tutti gli effetti i coniugi Dean, Eddie e Susannah, si inoltrano nei boschi alle spalle del Mare Occidentale. Qui si imbattono in Shardik, un gigantesco orso che fa da guardia a uno dei dodici portali. Dopo averlo sconfitto, Roland spiega ai compagni che vi sono dodici portali interdimensionali ai quali sono stati assegnati dodici guardiani, enormi cyborg costruiti in un lontano passato da una civiltà tecnologicamente molto avanzata. I portali sono posti in cerchio ai confini del mondo e sono uniti da dei vettori. Al centro di questi vettori sta la Torre Nera. Purtroppo però questi vettori stanno andando fuori fase e questo contribuisce a distorcere le distanze, distruggendo così questo mondo.
Nello stesso tempo i nostri devono cercare anche di entrare in contatto con Jake, un bambino di undici anni che vive nella New York del 1977, dove venne ucciso da uno psicopatico travestito da prete e che Roland aveva già conosciuto in un'altro tempo nel primo capitolo.
Dopo averlo salvato, i tre devono cercare di portarlo definitivamente nel loro mondo, chiamato ora "Medio Mondo", in quanto Jake è in possesso di alcuni oggetti molto preziosi ai fini della buona riuscita della missione e per formare così il loro ka-tet, una forma di energia molto particolare che si sprigiona tramite un qualcosa di riconducibile vagamente ad uno "spirito di squadra", volto ad unire un gruppo di persone con un destino ed un obiettivo comuni.

RECENSIONE
Terzo capitolo della monumentale saga di Stephen King, Terre desolate devo dire che è, finora, il mio preferito.
Molto movimentato e coinvolgente, questo terzo episodio che si inserisce probabilmente come libro di transizione in attesa degli stupefacenti eventi che, come il finale lascia presupporre, caratterizzeranno il libro successivo, sa regalare istanti di grande pathos praticamente dal principio alla fine.
Probabilmente meno d'atmosfera, ma molto più carico d'energia e di ritmo, Terre desolate è anche il primo volume nel quale confesso di non essere stato costretto ogni tanto a sospendere la lettura per tornare a ricontrollare passaggi od avvenimenti che non ero sicuro di aver compreso bene. 
Scorrevole innanzitutto, e poi questo romanzo si segnala anche per essere ricco di particolari e di situazioni che "Il Re" comincia sapientemente ad incastrare tra di loro come solo lui sa fare.
Non voglio assolutamente dire di più per timore di farmi sfuggire qualcosa di troppo, ma il mio consiglio è quello di non scoraggiarvi se i primi due episodi vi sono apparsi un po' monotoni (soprattutto il primo), tenete duro perchè questa è un'opera immensa che va valutata nel suo insieme.
Niente paura quindi, e proseguite il viaggio, in quanto la mia impressione è che da adesso in poi ci sarà davvero da divertirsi.

BF

Nella nostra libreria:
Stephen King
Terre desolate (The Waste Lands)
ed. Sperling Paperback
438 pag.
traduzione di Tullio Dobner







martedì 22 luglio 2014

Fahrenheit 451 - Ray Bradbury (1953)

"<<Mildred, che cosa ne diresti, se... insomma, se, diciamo, io abbandonassi il mio lavoro per qualche tempo?>>
<<Vuoi rinunciare a ogni cosa? dopo tutti questi anni di lavoro, saresti disposto a rinunciare a ogni cosa, solo perché, una notte, una donna e i suoi libri...>>
<<Avresti dovuto vederla, Millie! [...] Tu non c'eri, stanotte, non l'hai veduta [...] Ci dev'essere qualcosa di speciale nei libri, delle cose che non possiamo immaginare, per convincere una donna a restare in una casa che brucia. È evidente!>>"
Guy e Mildred Montag

TRAMA
Guy Montag è un vigile del fuoco, come suo padre e suo nonno prima di lui, e adora il suo lavoro, considerato nella società uno dei più importanti. Nulla di strano, se non fosse, contrariamente a quanto verrebbe da pensare, che i vigili del fuoco non si occupano di spegnere incendi, ma al contrario di appiccarli, tanto da essere indicati anche come incendiari. Come può essere che la società ammiri queste figure, che le ritenga indispensabili per la pubblica sicurezza? Semplice: i libri sono proibiti, poiché creerebbero degli intellettuali, che si reputerebbero superiori alle altre persone. E questo è contro la democrazia e l'uguaglianza, perciò, onde evitare che strane idee si insinuino nella testa della gente, i vigili del fuoco hanno il compito di bruciare tutti i volumi trovati, ed imprigionare i loro possessori (il numero sui loro caschi, "451", indica la temperatura in gradi Fahrenheit alla quale brucia la carta).
Da dieci anni ormai Montag svolge con orgoglio il suo compito, quando una sera, tornando a casa, incontra una nuova vicina, Clarisse, una ragazza un po' strana, che parlandogli intacca la sua scorza di sicurezza e gli fa sorgere qualche dubbio sulla bontà del suo operato. Un'altra notte poi gli capita un incendio come mai prima nella sua carriera: una donna, piuttosto che separarsi dalla sua biblioteca, decide di bruciare viva insieme ad essa.
Questo avvenimento lo turba non poco, e decide di compiere un atto pericolossissimo: vuole provare a leggere un libro per capire cos'è e, soprattutto, se davvero è questa cosa malvagia che tutti credono.

RECENSIONE
Se dovessi immaginarmi l'inferno, probabilmente il mondo descritto da Bradbury nel 1953 sarebbe il peggiore tra tutti gli scenari che potrebbero attendermi. Successivo di pochi anni rispetto all'opera di Orwell, Fahrenheit 451 spesso viene paragonato, a ragione, a 1984. Le analogie tra i due romanzi sono evidenti: entrambi propongono dei futuri in cui l'uomo viene illuso di essere libero, e che gli opprimenti metodi di repressione esistono solamente per proteggere la sua libertà ed il suo benessere.
Ma mentre nel primo i libri erano indispensabili al fine di diffondere la conoscenza, per quanto costantemente modificata per aggiornarla alle esigenze del governo, nel secondo il controllo che si ha sulla popolazione parte dalla fonte, impedendole di conoscere. Come dice Beatty, il capo di Montag, "Non puoi costruire una casa senza chiodi e legname. Se vuoi che la casa non si costruisca, fà sparire chiodi e legname."
Se si pensa alla realtà di molti paesi dei giorni nostri, è palese quanto Bradbury sia stato lungimirante nel prevedere il potere della censura: la differenza è che, come è ovvio, essa non si limita ai libri ed alla televisione, come nel romanzo, ma anche al web e a tutto il suo contenuto. Purtroppo però, come spesso accade, c'è chi è riuscito a speculare su quest'opera indiscutibilmente fondamentale della letteratura mondiale, così come è avvenuto per il libro di Orwell: se quest'ultimo senz'ombra di dubbio si dev'essere rivoltato nella tomba nel vedere un reality show in cui la gente smaniava per farsi riprendere 24 ore su 24, Bradbury, che al contrario era ancora in vita, più volte chiese al regista canadese Michael Moore le sue scuse per aver utilizzato un chiaro riferimento alla sua opera per il documentario Fahrenheit: 9/11 senza mai aver chiesto il permesso, nonché la modifica del titolo del film, senza successo. Tralasciando il contenuto del documentario, dal momento che ognuno è libero di esprimere la propria opinione con i mezzi di cui dispone, trovo però l'atteggiamento del regista alquanto poco professionale ed irrispettoso verso chi davvero grazie alle proprie fatiche intellettuali è stato in grado di creare un'opera che trovo dovrebbe essere presente in qualsiasi libreria (intesa come scaffale, non come negozio di libri).
Tornando al romanzo, oltre ad essere importante per il suo significato è anche, fortunatamente, scritto in maniera avvincente, come lo era 1984, e proietta il lettore in questo mondo del futuro post-1960 (so che detta così fa un po' ridere, ma va sempre contestualizzato) in cui apparentemente l'uomo può vivere magnificamente, grazie anche alle tecnologie che gli semplificano la vita, se non fosse che in realtà è privo della conoscenza, della consapevolezza e del libero arbitrio che esse potrebbero dargli.
Un libro che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita, soprattutto i cosiddetti "topi da biblioteca".


BW

Nella nostra libreria:
Ray Bradbury
Fahrenheit 451 (Fahrehneit 451)
ed. Oscar Mondadori
180 pag.
traduzione di Giorgio Monicelli

lunedì 21 luglio 2014

Un oscuro bisogno di uccidere - Massimo Picozzi (2008)

"Molte azioni dell'uomo paiono così banalmente crudeli, da far pensare che alle spalle ci sia per forza l'ispirazione del demonio.
Ma, purtroppo, non è così."
Massimo Picozzi (da 'Una squallida setta mortale')

RECENSIONE
Il Male, quello con la "M" maiuscola, esiste eccome. 
Questo ci dice lo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, personaggio che molti conosceranno se non altro per le sue numerose ospitate televisive. Il Male esiste dal momento in cui esistono determinate persone estremamente malvagie, del tutto prive del minimo senso di empatia verso gli altri, e che procurano dolore e sofferenze al prossimo solo ed esclusivamente perchè è ciò che intendono fare.
Così Picozzi ci illustra dieci casi, alcuni celebri altri un po' più sconosciuti, di omicidi efferati sui quali egli ha lavorato nelle vesti di consulente, muovendosi con grande scrupolo sulla scena del crimine e cercando di capire che tipo di movente ci potesse essere alla base di simili azioni e comportamenti.
Un autentico viaggio allucinante all'interno della mente criminale, al solo scopo di cercare una risposta che non sia quella solita della follia, del disagio o che altro, per poi giungere alla triste e spaventevole conclusione che in alcune situazioni una risposta vera e propria non c'è. Certi individui uccidono perchè, come dice lo stesso autore, hanno varcato quella famigerata "linea d'ombra" che delimita il confine tra la pazzia e la scelta consapevole di fare del male. 
Ed ecco che allora ci inoltriamo negli oscuri pensieri di tre ragazzine della Val Chiavenna che, per rendere una sorta di goffo e stupido omaggio al loro idolo musicale, un giorno hanno deciso di massacrare a coltellate una suora. Oppure veniamo a conoscenza del caso di Sonya Caleffi, autoproclamatasi "Angelo della Morte", o dei particolari agghiaccianti riguardo la setta tristemente nota come "Le bestie di Satana", o della vicenda di Michele Profeta alias "Il serial killer delle carte da gioco". Tutti casi avvenuti in Italia negli ultimi quindici anni e che spesso hanno portato l'opinione pubblica a domandarsi che cosa stia succedendo alle persone, per quale ragione si è arrivati ad un tale livello di disprezzo verso la vita umana.
Massimo Picozzi prova a scandagliare le vite dei tragici protagonisti di queste storie a metà tra il macabro e l'assurdo, alla ricerca di eventuali traumi o ragioni che possano in qualche maniera arrivare, seppur lontanamente, a spiegare le motivazioni di certi gesti ma spesso, come già detto, risulta un esercizio del tutto inutile. Tanto che, parlando dei rituali in uso tra le "Bestie di Satana" raccontati da un ex membro, si arrivano a leggere cose che toccano punte di imbecillità sconcertante, quasi comica; se non fosse che, tali rituali pregni di idiozia, hanno portato a compiere diversi brutali omicidi. Ed allora non c'è proprio più niente da ridere.

BF

Nella nostra libreria:
Massimo Picozzi
Un oscuro bisogno di uccidere. Storie nere tra follia e malvagità
ed. Mondadori Strade Blu
190 pag.

domenica 20 luglio 2014

Lasciami entrare - John Ajvide Lindqvist (2004)

"<<Io... non uccido le persone.>>
<<No. Ma vorresti farlo. Se potessi. E lo faresti sicuramente in caso di necessità.>>
<<Perché li odio. C'è una bella...>>
<<Differenza? È questo che vuoi dire?>>
<<Sì...>>
<<Se potessi cavartela. Se succedesse e basta. Se tu potessi augurare a qualcuno di morire e quello morisse. Lo faresti allora?>>
<<Sì.>>
<<Sì. E lo faresti soltanto per il tuo piacere. Per vendetta. Io lo faccio perché devo. Non esiste un altro modo.>>
<<Ma è perché loro mi fanno male, mi prendono in giro, perché io voglio...>>
<<Perché tu vuoi vivere. Proprio come me.>>"
Oskar e Eli

TRAMA
Svezia, 1981. Oskar è un ragazzino timido, introverso ed un po' soffocato dall'eccessivo amore materno. Vive a Blackeberg, un sobborgo nella periferia di Stoccolma, ed è perennemente vittima di alcuni bulli a cui sogna segretamente di farla pagare.
Un giorno, mentre si trova in cortile, incontra Eli, una strana ragazzina circa della sua età che si è appena trasferita nell'appartamento accanto a quello dove vive il ragazzo insieme ad un signore, probabilmente il padre.
Oskar vorrebbe approfondire la conoscenza della nuova amica, ma tra i bulli che lo maltrattano in maniera sempre più violenta, un misterioso assassino che ha barbaramente ucciso un bambino nella foresta e lo sbarco di un sottomarino sovietico l'apprensione della madre è cresciuta in maniera esponenziale, e i suoi incontri con Eli diventano sempre più segreti.
Ma Eli sembra nascondere dei segreti: perché, prima di entrare, chiede sempre il permesso esplicito? E l'uomo che vive con lei è davvero suo padre? E soprattutto, come mai non esce mai di giorno?

RECENSIONE
Di Lasciami entrare avevo visto la versione cinematografica alcuni anni fa, e mi ricordavo che mi era piaciuto. Così, come a volte accade, dopo molto tempo mi sono messa all'improvviso a pensare che sarebbe stato bello leggere il romanzo da cui era stato tratto il film.
Devo dire che sinceramente non capisco la scelta editoriale di inserire questo meraviglioso libro horror all'interno della collana "i gialli". Al di là di questa piccolezza però, sono stracontenta della mia scelta.
Pur discostandosi infatti dalla classica storia sui vampiri, quelli di Lasciami entrare rispecchiano fedelmente l'immaginario classico di questa categoria di mostri letterari, tanto che il titolo, che nell'originale cita una canzone dell'ex cantante degli Smiths, Morrissey, fa riferimento alla credenza che essi debbano essere invitati ad entrare per poterlo fare (un po' come i lupi mannari che in Sicilia si dice siano incapaci di salire i gradini). Ma i mostri di cui parla questo libro, ed anche in questo sta la sua grandezza, non sono solo quelli con i canini: lo spettro della solitudine, l'alcolismo, il bullismo, la pedofilia, le droghe... Sono tutti argomenti trattati magnificamente, perché mai in maniera esplicita, in questo libro. Ma l'opera prima di Lindqvist parla anche di amicizia, di amore (attenzione, non quello sdolcinato e stucchevole stile Il diario del vampiro, ma quello tra due amici, tra figli e genitori, oltre che quello tra innamorati), di crescita di un bambino che, nonostante le avversità, riesce a sconfiggere i suoi demoni e le sue paure e ad avvicinarsi all'età adulta.
Un romanzo che consiglio caldamente agli appassionati del genere, che sicuramente non rimarranno delusi dalla penna dello scrittore di Blakeberg. Da parte mia, di certo non mi fermerò a questo suo primo romanzo.

BW

Nella nostra libreria:
John Ajvide Lindqvist
Lasciami entrare (Låt den rätte komma in)
ed. Marsilio
461 pag.
traduzione di Giorgio Puleo

  

sabato 19 luglio 2014

Io e te - Niccolò Ammaniti (2010)

"Lorenzo è un bambino normale."
Lorenzo Cuni

TRAMA
Lorenzo è un quattordicenne romano estremamente chiuso e complessato. I genitori, benestanti, lo affidano anche alle cure di uno psicologo, senza tuttavia riuscire a capire da dove nascano i problemi del ragazzo. 
E così un giorno Lorenzo, che praticamente non ha amici, per far in modo che i genitori smettano di preoccuparsi per lui racconta alla madre di essere stato invitato da alcuni compagni di classe a trascorrere una settimana bianca a Cortina.
In realtà ha già deciso di nascondersi nella cantina del suo palazzo dove tra videogiochi, scatolette e libri di Stephen King finalmente se ne potrà stare un po' con l'unica persona con la quale si trova davvero bene: se stesso.
Ma l'arrivo di Olivia, la sua sorellastra ventenne che vive a Milano, gli scombinerà decisamente i piani. Soprattutto perchè Olivia, bella e carismatica, dietro ad un'apparente maschera di sicurezza si rivela essere terribilmente fragile e vittima dei propri demoni.

RECENSIONE
Non è facile parlare di un libro così. Perchè si rischia in ogni momento di cadere nel banale, di inciampare nelle frasi fatte, di dire cose già sentite mille volte. Eppure con Io e te credo che sia un rischio che si debba correre. Perchè questo romanzo breve, che ci mostra un Ammaniti un po' insolito ma per nulla sgradevole, a me è piaciuto moltissimo. Intanto perchè trovo che sia stato scritto in modo semplice ed essenziale, senza nessuna pretesa di voler inventare chissà cosa, e poi perchè narra una storia che coinvolge, appassiona e che, alla fine, sa regalare anche qualche emozione particolare. 
Riconosco di non amare allo stesso modo tutta la produzione di Ammaniti, alcuni suoi lavori mi hanno lasciato piuttosto perplesso, però devo dire che quando lo scrittore romano è in forma ed è così ispirato, leggerlo diventa qualcosa di veramente piacevole e divertente.
Io e te, nello specifico, parla di tutta una serie di problemi legati al mondo giovanile e non solo che, come anticipato poco fa, sono stati già ampiamente trattati in tutte le salse, ma la grande forza di questo racconto, a mio parere, sta proprio nella sua linearità e schiettezza. Insomma la mia impressione è che Ammaniti abbia voluto solamente scrivere un racconto che definirei "semplicemente bello", ed io penso che ci sia riuscito in pieno.

BF

Nella nostra libreria:
Niccolò Ammaniti
Io e te
ed. Einaudi Stile Libero Big
116 pag.


venerdì 18 luglio 2014

Le mie storie da una botta e via - Chelsea Handler (2005)

"Molti trovano vergognose le avventure da una botta e via, e provano imbarazzo ad ammetterle. Personalmente, non sono d'accordo. Le persone si possono conoscere in molti sensi e il mio preferito è quello biblico."
Chelsea Joy Handler

TRAMA
Che Chelsea Handler non sia una persona morigerata è abbastanza palese, se non altro dal titolo del suo primo libro: e così, dalla sua esplorazione del variegato mondo maschile, ha tratto quest'opera in cui racconta (alcune) delle sue esperienze più significative.
Genitori dalle bizzarre fantasie, checche isteriche e, soprattutto, insopportabilmente viziate, nani irritanti, imbarazzanti inconvenienti post-ristorante messicano... Non manca nulla, ma proprio nulla, per farvi ridere fino a farvela addosso (come d'altronde accade anche a Chelsea)!

RECENSIONE
Se già avete avuto l'occasione di leggere l'altro libro pubblicato ad oggi in Italia di Chelsea Handler sapete già cosa aspettarvi: pagine e pagine di buffi ed irriverenti aneddoti, nessuna delle quali minimamente politically-correct. Il dubbio che nessuna di queste storie sia vera viene, ma poi si pensa subito: "Chissene! Vere o no, mi piace pensare che siano accadute ESATTAMENTE come dice Chelsea".
Lo spunto da cui si sviluppa l'opera è ovviamente il sesso, ma d'altronde abbiamo capito che uomini e alcool sono una vera e propria passione per la comica del New Jersey, quasi quanto le auto vecchie (non d'epoca, proprio vecchie e rugginose) per suo padre Melvin. Ma non è solo di sesso e alcool che si parla; oddio, se cercate qualcosa di serio sicuramente non è il libro che fa per voi, però sotto la scorza ludica si riesce ad intuire che ci sia anche un non so che di più profondo, e che l'autrice è tutto fuorché quella sciocchina che ci vuole far credere.
Un libro intelligentemente comico e senza alcuna pretesa, consigliatissimo a chi non si prende troppo sul serio e a chi ha davvero voglia di trascorrere qualche momento di vero spasso.

BW

Nella nostra libreria:
Chelsea Handler
Le mie storie da una botta e via (My Horizontal Life: A Collection of One-Night Stands)
ed. Mondadori Strade Blu
214 pag.
traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani