BW&BF

lunedì 30 giugno 2014

Il tornado di valle Scuropasso - Tiziano Sclavi (2006)

"E poi ho preso la terapia delle due e cinque.
Mi sono addormentato sul divano.
Ho sognato un disco volante.
Ruotava a un centinaio di metri dal suolo.
Roteava sempre più veloce.
Provocava un tornado.
Il tornado di valle Scuropasso."
Tiziano Sclavi


TRAMA
Un uomo con alle spalle un matrimonio fallito ed un triste passato (non del tutto superato) da alcolista, vive solo in una vecchia villa isolata ai margini di un bosco. Unica sua compagnia Silvestro, il suo gatto, ed una coppia di anziani che ogni tanto lo va a trovare per sbrigargli le faccende di casa.
In questo scenario già di per sè inquietante, l'uomo inizia a sentire strani rumori notturni provenire dal giardino, vede (o crede di vedere) dei fantasmi, è vittima di sinistre allucinazioni (ma sono allucinazioni?) a base di dischi volanti e piccoli umanoidi dai grandi occhi.
Difficile capire come stiano veramente le cose, anche perchè il protagonista sta seguendo una terapia (prescrittagli dal dottor Deicas; chi ha letto Mostri ha già capito) a base di psicofarmaci, che mischia spesso con la birra, fatto sta che l'orrore ed il senso di angoscia che egli prova sono, quelli sì, indiscutibilmente reali.
E nella sua mente profondamente sconvolta da tutto ciò si fa largo ad un tratto un vecchissimo ricordo lontano: quello cioè, del tornado di valle Scuropasso, al quale egli assistette da bambino, rammentando di come ne venne spaventato ed attratto allo stesso tempo.

RECENSIONE
Partendo da un fatto realmente avvenuto e che probabilmente Sclavi visse in prima persona, il famoso "Papà di Dylan Dog" ritorna a scrivere un racconto dopo svariato tempo ed una crisi personale che, si diceva allora, piuttosto acuta.
In effetti non è difficile riscontrare in molti passaggi de Il tornado di valle Scuropasso vari riferimenti riconducibili ad uno stato di profondo malessere da parte di chi narra. Non so se tutto questo sia veramente frutto di un periodo nero di Sclavi oppure no, fatto è che ormai, volente o nolente, lo scrittore pavese si è fatto ormai la fama di "misantropo depresso".
Personalmente, da vecchio fan di Dylan Dog (quello del primo periodo però, la successiva deriva buonista-ecologista-moralistica mi infastidì non poco), penso che Tiziano Sclavi sia innanzitutto un eccezionale cantastorie, uno che viene dalla scuola di un grandissimo come Dino Buzzati e che possiede una capacità di comprensione della paura davvero fuori dal comune. Non a caso egli ha da sempre affiancato all'attività di fumettista/scrittore horror quella di apprezzato autore di libri per bambini. Due mondi che sono strettamente collegati fra loro. Chi riesce a capire i bambini ed a recepire le loro paure, spesso è anche in grado di trasporle egregiamente nell'universo adulto, costruendo veri e propri labirinti di terrore. Un esempio fulgidissimo in questo senso ci viene da H.P. Lovecraft, il quale disse più volte che le spaventose visioni che hanno reso celebri le sue opere ebbero tutte origine nella sua infanzia.
Dopo questo "pippone" che spero non vi abbia troppo annoiato, veniamo a parlare del libro in questione che secondo me rappresenta una specie di esperimento. Sclavi, infatti, credo che metta molto di sè stesso in questo romanzo, più del solito e, pur ribadendo che non so dire quanto ci sia di autobiografico in queste pagine, la scrittura e il modo di descrivere certe atmosfere trasudano un dolore vero, quasi palpabile.
C'è un forte senso di tristezza e di cupa malinconia che mi ha avvolto fin dalle prime righe e che mi ha lasciato alcuni strascichi anche dopo aver terminato il racconto. Questo significa, a mio modo di vedere, che Tiziano Sclavi possiede una certa potenza espressiva, pur senza ricorrere a paroloni, citazioni dotte o altre astrusità pretenziose. 
Poi devo anche dire che la lettura non è sempre facilissima, spesso si fatica a capire cosa sia reale e cosa no e ci sono frequenti ripetizioni di situazioni ed atmosfere, come in una sorta di loop temporale, ma questi sono aspetti dello stile sclaviano che ormai abbiamo imparato da tempo a conoscere ed amare. 
In conclusione mi sento di affermare che Il tornado di valle Scuropasso sia essenzialmente una storia fatta di ossessioni e di spettri che, come un tornado per l'appunto, girano vorticosamente in circolo senza mai fermarsi.
Io lo consiglio senz'altro nonostante, se posso permettermi, 14 euro per un romanzo breve di poco più di 150 pagine mi sembra sia un prezzo un po' eccessivo, anche se l'edizione è indubbiamente ben curata ed esteticamente molto gradevole. 

BF

Nella nostra libreria:
Tiziano Sclavi
Il tornado di valle Scuropasso
ed. Mondadori Strade Blu
153 pag.

 


domenica 29 giugno 2014

Actarus. La vera storia di un pilota di robot - Claudio Morici (2007)

"<<Non l'ho fatto apposta, Dottore.>>
<<E ci mancherebbe!>>
<<Giuro, sono cose che capitano...>>
<<Alcor, a te capitano sempre! Hai disintegrato una scuola di ballo!>>
<<Ho anche distratto il mostro che aveva bloccato Goldrake con i raggi protonici, che ne sapevo che stavano facendo il saggio?!?>>
<<Alcor, guardami. Ti ricordi com'eri quando ci siamo conosciuti?>>
<<Certo che me lo ricordo.>>
<<Ti ricordi come mai ti chiamavano tutti Alcol?>>"
Alcor e il dottor Procton

TRAMA
Anno 2076. La Terra è da tempo in guerra contro Vega che continua ad attaccare il nostro pianeta con i suoi terribili mostri combattenti. Ma per fortuna c'è Goldrake, il gigantesco robot pilotato da Actarus, un ragazzo bello e coraggioso, che riesce ogni volta a respingere i feroci assalti degli extraterrestri.  Che seguono sempre lo stesso copione, come se fosse un qualcosa di già prestabilito. Anche tre o quattro volte alla settimana.
Il problema è che Actarus non ce la fa più, è stufo di questa routine fatta solo di lavoro tra combattimenti, esplosioni e briefing presso l'Istituto Spaziale. Non ne può più del dottor Procton e dei suoi interminabili discorsi-fiume sulla necessità di difendere la razza umana, sull'importanza di rimanere UNITI. E non ne può più nemmeno del maldestro Alcor che, da ex alcolizzato, tedia il povero Actarus con continue raccomandazioni sui pericoli delle dipendenze. E neppure di Venusia, ninfomane e dalla personalità inconsistente, o dei tecnici dell'Istituto Spaziale che ormai passano tutto il loro tempo a navigare su chat-line di appuntamenti. 
E così il nostro eroe per tirare avanti si imbottisce di Peroni e guarda programmi spazzatura alla tivù, chiedendosi se ne valga davvero la pena di continuare a fare questa vita. Vorrebbe tornare su Fleed, la sua stella natale, per staccare un po' la spina, rilassarsi e godersi un assaggio della tanto decantata spregiudicatezza sessuale delle ragazze del luogo, ma purtroppo al momento c'è troppo da fare e quelli dell'Istituto non possono permettersi di mandarlo in ferie.
Ed allora avanti sempre allo stesso modo, tra alabarde spaziali, magli perforanti e folli messaggi video dei ribelli di Vega che assumono sempre di più i deliranti toni dei comunicati delle organizzazioni terrostiche. Finchè un giorno Actarus si imbatte per caso in Roberta, anoressica attivista no global che si batte per le cause più disparate e della quale si innamora perdutamente.
Roberta così insinua nell'ingenuo Actarus il sospetto che le cose non siano sempre come sembrano, anzi... 
Ed è così che avviene l'inimmaginabile.

RECENSIONE
A volte può succedere che un libro ci colpisca e susciti il nostro interesse fin dalla copertina. Ebbene per me con Actarus - La vera storia di un pilota di robot è stato esattamente così. D'altronde non poteva essere altrimenti con un titolo del genere, capace di risvegliare in me (e sono certo anche in tanti altri) bellissimi e lontani ricordi di pomeriggi passati davanti alla televisione a seguire le avventure di Atlas UFO Robot e di tanti altri cartoni animati che un tempo andavano per la maggiore. Noi trentacinque-quarantenni, in particolare, siamo proprio la generazione che ha subito in pieno l'invasione dei cosiddetti "robottoni giapponesi", che per noi bambini di allora rappresentavano degli eroi in tutto e per tutto, tanto da ritrovarci ogni giorno in cortile, non solo per giocare, ma anche per commentare le puntate appena terminate, in un corrispettivo infantile di un qualsiasi "Bar Sport".
Ammetto che non conoscevo Claudio Morici quando ho acquistato questo romanzo, e non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma devo dire che lo scrittore romano si è rivelato un autore sorprendente, brillantissimo ed assolutamente folle, nel senso migliore del termine.
Morici prende uno dei più amati cartoni di culto dei tardi anni settanta e ne fa una parodia divertente ed acutissima, senza lasciarsi andare a forzature esagerate o stupide.
Ed è questo il lato geniale di Actarus; il fatto cioè che, pur essendo tutta la storia rivisitata in maniera grottesca ed ironica, ci sia anche la possibilità di cogliere diversi riferimenti ad alcune situazioni molto attuali e, pur senza volersi prendere troppo sul serio, Morici ne fa una critica piuttosto decisa.
E poi c'è tutta una serie di momenti estremamente esilaranti, dove si ride davvero alla grande, e che ci mostrano i nostri eroi alle prese con i piccoli problemi di tutti i giorni come la spesa, o le serate passate a chiacchierare nei bar alla moda senza combinare nulla, e che ce li rendono un po' più umani.
Oppure ci sono le piccole rivalità tra piloti di robot, come può avvenire in qualsiasi altra categoria. Ed ecco allora che veniamo a conoscenza di come, sotto sotto, Actarus non sopporti Jeeg Robot d'Acciao ("Possibile che continuino ancora a scambiarmi per lui?!") o lanci frecciatine velenose a Daitarn 3 ("Con quell'alettone sembra un turco dello spazio...") oppure venga sfottuto senza pietà da quel macho ottuso di Gundam ("Guarda che se ti piace il pisello non fa niente, resti sempre mio amico, basta che con me fai finta di nulla e non parli di queste cose, ok?").
Insomma se volete divertirvi vi consiglio caldamente questo strabiliante omaggio confezionato veramente col cuore, come solo un fan poteva fare, e se eravate patiti del cartone non potete in alcun modo esimervi dal leggerlo. Tuttavia, se appartenete invece alle generazioni successive e per voi Goldrake non è altro che qualcosa che odora di preistorico, potreste ugualmente farvi due sane risate con questo gioiellino e, chissà, trovarvi di colpo a cercarne i DVD o le vecchie VHS. Il tutto perchè magari anche in voi è scoccata la stessa scintilla che colpì noi, bambini dagli occhi sgranati all'inverosimile, mentre venivamo avvertiti dalle materne annunciatrici RAI a proposito delle scene di violenza presenti nel programma, come avveniva ogni giorno a partire da quel fatidico 4 aprile 1978.

BF

Nella nostra libreria:
Claudio Morici
Actarus. La vera storia di un pilota di robot
ed. Meridiano Zero
222 pag.







sabato 28 giugno 2014

3 è il numero perfetto - Sheila O'Flanagan (2006)

"Che cosa strana l'amore, [...] trasforma il tuo cervello in gelatina e ti impedisce di ragionare. E forse è da questo che si capisce di essere veramente innamorati. È quando l'altra persona diventa più importante di quanto si sarebbe mai creduto possibile."
Siobhán Farrell

TRAMA
Tre è il numero perfetto: così la pensa Iona Brannok, che sta tentando di avere un bambino con suo marito, ma che ha appena scoperto che, almeno per questo mese, non c'è riuscita.
Tre è il numero perfetto: così la pensa anche Sally Harper, che con suo marito ne ha già fatta una sedici anni fa di figlie, Jenna, e che credeva di aver finito con pannolini e pappette; e invece, a quarantuno anni, ha appena scoperto che di essere nuovamente ed inaspettatamente incinta, ed è molto spaventata.
Che tre sia il numero perfetto pare pensarlo anche Frank; il problema è uno solo: che Frank è il marito sia di Iona che di Sally, e nessuna delle due è a conoscenza, né sospetta minimamente, dell'altra. L'uomo per più di quattro anni è riuscito a condurre una doppia vita egregiamente, tenendosi al di sopra di ogni sospetto; ma un giorno per una sfortunata serie di coincidenze ha un terribile incidente e viene ricoverato, in coma, all'ospedale. Ed è lì che le due coniugi fanno la raccapricciante scoperta di avere un marito bigamo.
Per cercare di fare luce sulla vicenda e al contempo di aiutarle interviene Siobhán Farrell, giovane poliziotta che, a sua volta, sta avendo qualche problemuccio con il fidanzato Eddie.
Pian piano, superato lo shock e le barriere dovute all'età ed alla gelosia, le due donne cercano di aiutarsi a vicenda in attesa che Frank si svegli dal suo stato di incoscienza, e anche con Siobhán formeranno un legame molto simile ad un'amicizia.

RECENSIONE
Quando ho acquistato 3 è il numero perfetto ero convinta che si trattasse di chick lit, tanto che ero piuttosto restia a postarlo proprio dopo Bridget Jones; dovete infatti sapere che, quando con BarFly pianifichiamo un po' di calendario ogni tot settimane, cerchiamo sempre di alternare il più possibile e di non ripetere troppo frequentemente un autore, o di non proporre due giorni di seguito lo stesso genere.
Per fortuna mi sbagliavo: questo stupendo romanzo di Sheila O'Flanagan, autrice famosa nella sua Irlanda ma ancora piuttosto sconosciuta qui in Italia, è un libro che, pur avendo diversi momenti divertenti (se non altro per quanto sia surreale la situazione), probabilmente verrebbe catalogato come "drammatico". Pure, non sfiora nemmeno per un momento il patetismo, o il moralismo: anziché condannare Frank ci si concentra sui vari rapporti che si formano e si sviluppano tra le persone coscienti, come il difficile rapporto madre-figlia tra Sally e Jenny, o l'ancora più difficile tra le due mogli-rivali in amore. Ogni parola utilizzata dall'autrice nel suo libro è ben ponderata e perfettamente azzeccata, l'unico dubbio che può sorgere è se davvero, nel mondo reale, nella stessa situazione due donne che scoprono di avere il marito in comune possano effettivamente aiutarsi reciprocamente ed arrivare a stringere amicizia e a sentirsi parte di un'unica grande famiglia. Voglio essere ottimista e crederci, ma allo stesso tempo non riesco a fare a meno di pensare che in realtà si fermerebbero alla fase 1: vieni qui che ti strappo i capelli!
Realistico o no, come ho già detto è un romanzo che tocca davvero il cuore, mai in maniera sdolcinata però, e che credo fortemente che anche un pubblico maschile possa apprezzare. Da parte mia, sto già cercando gli altri due libri pubblicati in Italia dalla O'Flanagan, spero proprio di avere fortuna!

BW

Nella nostra libreria:
Sheila O'Flanagan
3 è il numero perfetto (Yours, Faithfully)
ed. Sperling Paperback
509 pag.
traduzione di Alessandra Padoan

 

venerdì 27 giugno 2014

Dal libro al film: Il diario di Bridget Jones - Helen Fielding (1995)

ATTENZIONE!!! Questo post contiene spoiler sul libro Il diario di Bridget Jones e sul film tratto da esso. Se non avete letto il libro e/o visto il film, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.
 

"Ma Cristo santo, quella zuppa è blu!"
Daniel Cleaver

IL LIBRO
Single, tabagista, amante dell'alcool e perennemente a dieta: la trentaduenne Bridget Jones approfitta della nascita di un nuovo anno per cercare di mettere ordine nella sua vita, elencando una serie di buoni propositi e raccogliendo nel suo diario i (pochi) successi e le (molte) sconfitte. Circondata da Felicemente Sposati, la povera Bridget è perennemente sotto pressione affinché trovi un ragazzo (Zitella! Zitella!). Al tradizionale buffet freddo di Capodanno a casa di Una e Geoffrey Alconbury, ad esempio, le presentano lo snob (e orrendamente vestito) Mark Darcy, neodivorziato, con il quale decisamente la scintilla non scocca affatto.
A lei, in effetti, piace Daniel Cleaver, il suo capo: ed infatti con lui inizia anche una relazione; ma l'uomo si rivela un fedifrago, e così a giugno la povera ragazza si trova (di nuovo) senza un ragazzo e con la necessità di cambiare lavoro. Come se non bastasse, la madre, in una vera e propria crisi di mezza età, ha lasciato il marito, si è messa con un imbonitore portoghese, con il quale verosimilmente conduce una vita sessuale molto più attiva della figlia.
Ma Bridget è una romanticona, sognatrice ed ottimista, per quanto prenda continuamente delle batoste, e decide di prendere il toro per le corna: si trova un nuovo lavoro in televisione, cerca di non assecondare troppo la madre nelle sue follie e di sostenere il padre, prosegue testardamente con la sua dieta e con il tentativo di ridurre sigarette ed alcool, ed in svariate occasioni incontra nuovamente Mark Darcy.
Pian piano, tra una cena tra amici che si trasforma da ipotetico paradiso della nouvelle cuisine a completo disastro a base di zuppa blu e una fuga della mamma in Portogallo per sfuggire alla polizia, la nostra eroina riuscirà a mantenere almeno uno dei suoi buoni propositi per l'anno, e si troverà (finalmente!) fidanzata, nientepopodimenoché con Mr. Darcy. Esilarante, in fondo al libro, il riassunto annuale di: alcolici, sigarette, calorie, biglietti della lotteria, chiamate al 1471 ecc.; come dice Bridget, "Per essere passato un solo anno, ho fatto enormi progressi".

IL FILM

In generale, trovo che tra una commedia inglese e una americana (o italiana, anzi ultimamente è anche peggio) ci sia un vero e proprio abisso, come paragonare uno spettacolo di Vittorio Gassman ad una recita scolastica. Il diario di Bridget Jones non fa eccezione: il suo humour tipicamente British è divertente ed accattivante, e la sinergia tra produzione e autrice è stata vincente in tutti i campi, dalla scelta del regista a quella degli attori.
Va infatti segnalato il fatto che la Fielding, nello scrivere il romanzo che l'ha consacrata come la madre della chick-lit, non ha fatto mistero di essersi ispirata al celeberrimo Orgoglio e pregiudizio, tanto da aver chiamato uno dei tre protagonisti Darcy, proprio come il Mr. Darcy che, nell'opera di Jane Austen, fa innamorare di sè Elizabeth Bennet. Al pari del suo omonimo, Mark Darcy è decisamente orgoglioso e un po' snob, ma le analogie non si fermano qui: nello stesso anno in cui uscì il Diario, uno sceneggiato della BBC sul capolavoro della letteratura inglese ottenne un grandissimo successo, e la stessa Bridget cita un bellissimo Mr. Darcy interpretato da Colin Firth. Ebbene, fu proprio la Fielding ad insistere perché fosse lo stesso attore a recitare nei panni del suo corrispettivo moderno. Inoltre anche Hugh Grant, che pure viene citato nel romanzo, calza perfettamente i panni dell'affascinante-e-un-po'-figlio-di-puttana Daniel Cleaver, rendendolo irresistibilmente odioso, o odiosamente irresistibile se preferite.
Più complicata fu la scelta della protagonista: inizialmente cercavano infatti un'attrice inglese, ma poi optarono per l'americana Renée Zellweger, che si dimostrò professionalissima. Immediatamente si recò a Londra per studiare dizione (una sorta di My fair Lady odierna?) e, ancora più difficile psicologicamente, accettò di ingrassare 12 chili per poter interpretare la perennemente in lotta con la bilancia Bridget. Più forte ancora va dunque applaudita la sua impeccabile prova recitativa: nemmeno prendendo in considerazione tutte le più brave attrici del mondo riuscirei a trovare una che potrebbe interpretare meglio la protagonista.
Come trama il film rispecchia abbastanza il romanzo: certo, hanno dovuto apportare qualche modifica e qualche taglio, soprattutto a causa della difficoltà di rendere su pellicola tutto ciò che su carta è il pensiero di Bridget. Ma anche qui Helen Fielding è stata molto brava, e per fortuna non dobbiamo assistere ad un ennesimo caso di prostituzione letteraria in cui un autore, davanti probabilmente ad un gran bel mucchio di soldi, decide che in fondo vedersi stravolgere completamente la propria opera non è così grave.
Insomma: brava l'autrice, bravi gli attori; bello il libro, bello il film. Non vi resta che decidere se leggere prima il romanzo e guardare poi la versione su pellicola o fare al contrario.


BW

Nella nostra libreria:
Helen Fielding
Il diario di Bridget Jones (Bridget Jones's Diary)
ed. BUR
315 pag.
traduzione di Olivia Crosio

giovedì 26 giugno 2014

In fuga - Jim Thompson (1958)

"La fuga è tante cose. Qualcosa di pulito e rapido, come un uccello che lambisce il cielo. O qualcosa di sudicio e strisciante, una serie di movimenti da granchio in una melma simbolica e reale, un procedere furtivo, saltando di lato, correndo all'indietro."
James "Jim" Myers Thompson

TRAMA
Doc McCoy è un criminale dal grande carisma e dotato di un sangue freddo fuori dal comune. La moglie Carol, giovane ex bibliotecaria, è graziosa ma anche un po' insicura e sempre preoccupata di poter deludere il marito. Insieme, come novelli Bonnie & Clyde, rapinano banche. Ora Doc è da poco uscito di carcere in seguito ad una condanna che gli è stata ridotta non di poco grazie all'adorata Carol che "ha fatto un po' la carina" con l'incorruttibile giudice Beynon. 
Doc organizza così un colpo che dovrebbe essere quello definitivo, con il quale ci si possa sistemare per sempre e che sul momento riesce anche bene, se non fosse che il suo complice, Rudy "Testa di torta" Torrento, si rivela uno psicopatico violento ed inaffidabile tanto da costringere McCoy a levarlo di mezzo. Ma Rudy, pur ferito gravemente, non muore, ed anzi si mette sulle tracce dei due coniugi che a questo punto sono braccati non solo dalla polizia, ma anche da un ferocissimo assassino desideroso di vendicarsi al più presto.

RECENSIONE
Brutale. Sporco. Folle. Sono questi i primi aggettivi che mi vengono in mente per definire al meglio questo libro, uno tra i più noti, di Jim Thompson.
Probabilmente vi sarà capitato di vedere il film del grande Sam Peckinpah Getaway!, con Steve McQueen ed Ali McGraw o il suo più recente remake (manco a dirlo, pessimo) con Alec Baldwin e Kim Basinger, ma forse non sapete che sono la trasposizione cinematografica proprio di questo romanzo.
Ma, pur essendo il film di Peckinpah assolutamente degno di nota e la performance di Steve McQueen nei panni di Doc indubbiamente grandiosa, vi sono alcune piccole, ma importanti, differenze con il libro. 
Il McCoy di Peckinpah, tanto per cominciare, è il classico "ladro gentiluomo" con un profondo senso dell'onore e che fugge in quanto la vita in prigione gli risulta intollerabile. Il protagonista di In fuga invece è un individuo sì apparentemente cordiale e signorile, ma in realtà è una vera iena del tutto priva di scrupoli. Inoltre, la galera non lo spaventa affatto ma la vede semplicemente come un ostacolo, una seccatura. Soprattutto perchè lui ha ormai passato i quaranta ed un'altra condanna potrebbe significare per lui la fine della storia con la dolce Carol che è molto più giovane di lui e bella scalpitante.
Un libro molto più fisico e d'azione rispetto ai lavori dei primi anni cinquanta dello scrittore di Anadarko, più incentrati sull'aspetto psicologico dei personaggi. Qui abbiamo gente massacrata di botte, spari in faccia, donne prese a calci ed altre violenze assortite con le quali Thompson riesce magistralmente a distribuire una forte dose di ferocia all'interno di una trama molto più lineare del solito e, forse anche in virtù di questo, più facilmente assimilabile da un pubblico più vasto.
Ancora una volta devo tessere le lodi di questo autore dal talento sopraffino ed alquanto sottovalutato, e che vanta un sempre più crescente pubblico di estimatori composto tra l'altro anche da alcuni nomi eccellenti come Stephen King e Bruce Springsteen, da sempre fan accaniti di Mr. Thompson.
L'unico aspetto negativo riguarda il numero piuttosto esiguo di opere tradotte in italiano, in particolare se consideriamo la sua sterminata produzione, ma io attendo fiducioso.

BF

Nella nostra libreria: 
Jim Thompson
In fuga (The Getaway)
ed. Fanucci Editore
177 pag.
traduzione di Anna Martini


 


mercoledì 25 giugno 2014

La chiamata dei tre - Stephen King (1987)

ATTENZIONE!!! Il libro di cui stiamo per parlare è il secondo della Serie della Torre Nera. Se non avete letto il precedente, intitolato L'ultimo cavaliere, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.


"Poi la visuale ruotò, non del tutto ma solo per metà, e questa volta guardò in uno specchio e vide una faccia che aveva già visto una volta in passato... su un tarocco. Gli stessi occhi scuri e capelli neri. La sua faccia era calma ma pallida, e negli occhi, gli occhi attraverso i quali guardava e che ora erano riflessi dallo specchio, Roland vide parte del terrore e dell'orrore di quella creatura che sulla carta da gioco era cavalcata dal babbuino."
Stephen Edwin King


TRAMA
Dopo aver sacrificato il piccolo Jake e dopo lo sconvolgente incontro-scontro con Walter o'Dim, alias "l'uomo in nero", Roland di Gilead si risveglia su di una spiaggia desolata popolata da strani mostri simili ad aragoste giganti che lo attaccano e lo feriscono amputandogli due dita della mano destra (quella che solitamente usa per sparare) con le loro enormi chele. Roland riesce ad avere la meglio su di loro, ma ben presto si rende conto con terrore che il morso di quelle creature è velenoso, e comincia a stare piuttosto male.
Ma deve assolutamente mettersi in marcia per trovare le tre porte dimensionali che, secondo quanto predettogli da Walter, serviranno a trasportare altrettante persone di epoche e mondi diversi in quel deserto di devastazione e squallore che è diventato il pianeta, e che sono assolutamente indispensabili per poter poi giungere alla Torre Nera.
Ed è così che, in preda ad una forte febbre, si imbatte in un portone montato su cardini invisibili, nel bel mezzo del nulla, sul quale è presente la scritta: IL PRIGIONIERO.
Roland lo apre e si accorge così di essere entrato in contatto con Eddie Dean, un giovane spacciatore che lavora per una potente famiglia mafiosa nella New York del 1987. 
Eddie è a bordo di un aereo di linea che lo sta riportando a casa da un "viaggio di lavoro" alle Bahamas dove ha condotto un affare per conto del proprio boss, ed ora sta trasportando, nascosto sotto i vestiti, un ingente quantitativo di droga.
Ma Eddie è troppo teso ed attira su di sè le attenzioni delle hostess, che decidono di tenerlo d'occhio. Se Eddie viene scoperto con la droga addosso, per lui è finita. Ma sarebbe finita anche per Roland, ed il pistolero questo non può assolutamente permetterlo...

RECENSIONE 
Trascorsi alcuni anni dal deludente ed insipido primo capitolo della saga, Stephen King cambia totalmente registro narrativo, aggiusta la mira, e questa volta fa un centro pazzesco con un romanzo semplicemente eccezionale. 
La chiamata dei tre infatti si distacca immediatamente dal suo sfortunato predecessore fin dalle primissime righe e, con una decisa virata a centottanta gradi, ci restituisce il miglior King forse di sempre, e cioè quello degli anni ottanta, periodo durante il quale ha sfornato capolavori come It, tanto per capirci.
La lettura torna ad essere scorrevole, le emozioni e la suspense la fanno di nuovo da padrone, e le pagine riprendono ad esser divorate con piacere una dopo l'altra da un lettore realmente sofferente di doversi separare dal volume, foss'anche solo per poche ore. 
È una condizione che tutti coloro che amano il "Re" hanno ben presente; quella sensazione di totale assorbimento nella storia ed immedesimazione completa nei personaggi che solo lui riesce a ricreare così dannatamente bene.
Meno western e molto più orientato verso la science fiction, La chiamata dei tre ha il grande merito, oltre che di riconciliarci con l'autore, anche di aprire scenari molto più ampi e che, a questo punto ne sono quasi certo, verranno sviluppati a dovere nel corso degli episodi successivi. 
Un ciclo di avventure che, stando così le cose, promette di regalare tantissimi altri stupendi momenti di evasione. Non è forse quello che da sempre si chiede ad un buon libro?

BF

Nella nostra libreria:
Stephen King
La chiamata dei tre (The Drawing of the Three)
ed. Sperling Paperback
345 pag.
traduzione di Tullio Dobner


  

 
 

martedì 24 giugno 2014

Se morisse mio marito - Agatha Christie (1933)

"<<Se posso esservi utile, signora, sarò ben lieto...>> [...]
<<Ne sono certa: ho sentito dire che voi siete l'uomo più straordinario del mondo. Qualcuno mi deve togliere dal guaio in cui mi trovo. E io sento che voi siete il solo in grado di farlo. [...] Signor Poirot, in un modo o nell'altro devo sbarazzarmi di mio marito!>>"
Hercule Poirot e Lady Edgware

TRAMA
Una sera in cui il famoso detective Hercule Poirot si trova, seppur temporaneamente, senza incarichi, viene avvicinato da Jane Wilkinson, Lady Edgware, che lo prega di aiutarla in una questione molto delicata e personale: la bella Lady, che è una famosa attrice, vorrebbe divorziare dal burbero marito per poter coronare il suo sogno di sposare il più accattivante duca di Merton. Ma purtroppo l'anziano ed attuale coniuge alle sue numerose richieste di separazione si è sempre opposto, e così ella spera che l'intervento di un uomo straordinario come il baffuto belga possa fargli cambiare idea.
Affascinato dal lato psicologico della faccenda, Poirot accetta e prende appuntamento con Lord Edgware, dove si reca con l'amico Hastings (narratore del romanzo); e grande è la sua sorpresa quando il nobile gli rivela che in realtà già da sei mesi avrebbe acconsentito al divorzio con colei che è la sua seconda moglie, e che Jane ne dovrebbe essere già al corrente in quanto le aveva spedito una lettera.
Stupiti, i due investigatori si accomiatano e comunicano la notizia a Lady Edgware, che ovviamente è ben felice di sapere che finalmente la sua vita potrà prendere la piega da lei desiderata. Ma quella stessa notte il marito viene ucciso, e numerosi testimoni affermano che ad entrare in casa all'ora del delitto è proprio Jane Wilkinson in persona, e nessun'altro.
Poirot però non è convinto: troppo facile, troppo clamoroso; e poi, che motivo avrebbe avuto Lady Edgware di sbarazzarsi del marito, quando aveva appena ottenuto da lui ciò che voleva? Non resta che far lavorare le celluline grigie e scoprirlo...

RECENSIONE
È finalmente cominciata l'estate, e per chi può permetterselo questo vuol dire spiaggia, mare, relax. Cosa c'è di meglio di un buon giallo sotto l'ombrellone allora? Questo romanzo che vi propongo oggi fa proprio al caso nostro: è avvincente, ben scritto (ma tutto questo lo sapete già ancor prima di leggerlo, Agatha Christie non delude mai!) e, una volta terminato, volendo, avete comunque a portata di mano altri due romanzi nello stesso volume.
Attenzione al sole però! Se cominciate a leggerlo davvero in spiaggia (o in piscina) rischiate di farvi rapire dalle indagini del buon vecchio Hercule Poirot e ritrovarvi strinati, senza peraltro probabilmente essere riusciti a capire chi sia l'assassino. La Christie lo sa che fa questo effetto, se ne compiace e gioca con il lettore, stuzzicandolo e prendendolo un po' in giro; circa a metà del racconto infatti il detective belga "sgrida" il Capitano Hastings: "Mi sembrate uguale a quei lettori di romanzi polizieschi che incominciano subito e senza discernimento a chiedersi all'apparire di ogni personaggio se si tratta del criminale, senza avanzare una qualche valida ragione." Ammetto che a me capita SEMPRE così, e a voi?

BW

Nella nostra libreria:
Agatha Christie
Dalla raccolta "Donne fatali - Tre omicidi per Poirot"
Se morisse mio marito (Lord Edgware Dies)
ed. Oscar Mondadori
218 di 597 pag.
traduzione di Rosalba Buccianti


lunedì 23 giugno 2014

Puerto Plata Market - Aldo Nove (1997)

"Ci sono diversi tipi d'amore.
Con le videocassette o con le donne e i trans.
O anche i gay.
Oppure i giornalini. Ti concentri meglio.
Nei film, devi bloccare con il telecomando al momento giusto.
Con i giornalini diventa più comodo.
L'amore con le donne è il più tremendo.
E ti fa male."
Michele


TRAMA
Michele è un trentenne che lavora in uno stabilimento che produce materie plastiche in un'anonima cittadina del nord Italia. Grandissimo fan della Juventus, di Beautiful, dei film porno e dell'Ikea. 
Siccome ha appena chiuso una lunga relazione con Marina, che l'ha tradito, decide di mollare tutto e di partire per la Repubblica Dominicana, destinazione Puerto Plata. Là, ne è sicuro, riuscirà finalmente a trovare l'amore, che egli paragona continuamente ad una specie di distorto "Gratta e Vinci", ma nel frattempo si perde tra le corsie del Supermarket Silverio Messon, affascinato dalle bibite e dalle merendine locali, una versione più povera e sconosciuta dei prodotti venduti in Italia. 
Qui conosce anche Paolo, Andrea e Gianni, tre italiani residenti da tempo a Puerto Plata che gli faranno da Virgilio in questo paese del quale Michele non sa assolutamente nulla, se non che le donne sono bellissime e sempre disponibili verso gli stranieri.

RECENSIONE
Puerto Plata Market ovvero "L'italiano medio in tour ai Caraibi". Si potrebbe anche intitolare così infatti questo bel romanzo dal deciso sapore agrodolce di Aldo Nove, al secolo Antonio Centanin, uno dei maggiori esponenti di quella generazione di giovani scrittori italiani che, negli anni novanta, vennero riuniti sotto l'etichetta dei cosiddetti "Cannibali".
Al di là delle definizioni, più o meno appropriate e che secondo me lasciano sempre il tempo che trovano, venendo al sodo io vi dico che questo libro, che comprai tantissimi anni orsono dopo aver seguito una brillante ospitata dell'autore al "Maurizio Costanzo Show", mi è piaciuto parecchio, e fin da subito. 
Mi è piaciuto perchè racconta una storia apparentemente folle, ma che in realtà rappresenta il sogno proibito di tantissimi uomini delusi dalla vita e che, pur non ammettendolo mai, vorrebbero veramente trovare il coraggio di Michele e lasciarsi tutto quanto alle spalle alla ricerca di un qualcosa che non si sa nemmeno se esista, uno specie di Santo Graal dei giorni nostri. E in tanti l'hanno pure trovato questo coraggio, o incoscienza, a seconda di come la pensiate.
Mi è piaciuto anche perchè descrive un'Italia che io ho vissuto e a cui mi rimanda, con tutte le innumerevoli citazioni di prodotti oggi ormai scomparsi, ma che quando ero piccolo rappresentavano dei veri must. Sono altresì convinto che la stessa cosa potrebbe capitare a tantissimi miei coetanei (coloro che vanno dai trentacinque anni in sù) in quanto spesso la scrittura disinvolta di Nove spazia di frequente dal presente al passato, utilizzando spesso la tecnica del flashback con frequenti incursioni nostalgiche negli anni settanta-ottanta.
Michele, che l'autore tratteggia in modo volutamente caricaturale, incarna il simbolo dello squallore in cui è sprofondato il nostro amato Paese, dove un sacco di persone (e non sempre per colpa loro) sono convinte che tutto quello che proponga la televisione rappresenti la Bibbia e che vivono in un perenne trip consumistico.
Poi c'è il lato più umano di Michele, un uomo che, seppur non sia un mostro di sensibilità, soffre veramente per l'abbandono di Marina e che, nonostante tutto, crede ancora nei sentimenti con un'ingenuità a tratti toccante.
Così si abbandona al sogno di poter vivere una nuova vita in quello che tutti dicono essere un vero paradiso tropicale, a patto di avere soldi a sufficienza. Non sarà esattamente così, come arriverà a scoprire nel corso della storia, ma troverà ugualmente un modo di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Scritto con un buon ritmo e pregno di citazioni di ogni tipo, e caratterizzato da un linguaggio particolarissimo ed accattivante (che a me ha ricordato un po' Bret Easton Ellis), Puerto Plata Market narra un piccolo spaccato del'Italia post-tangentopoli, dove il cittadino disilluso dalla politica e dalle istituzioni era ormai rassegnato al fatto che "tanto sono tutti ladri" e che bisognasse per prima cosa pensare a sè stessi. Ora invece si pensa per prima cosa al nuovo modello di telefonino o di iPhone che dir si voglia. 
Dopo aver toccato il fondo, non è vero che si risale, si può anche iniziare a scavare. Parere assolutamente personale, naturalmente.

BF

Nella nostra libreria:
Aldo Nove
Puerto Plata Market
ed. Einaudi Stile Libero
204 pag.

 





domenica 22 giugno 2014

Il Mago di Oz - L. Frank Baum (1900)

"Sii la benvenuta nel paese dei Munchkin, nobilissima Maga. Ti siamo veramente grati di aver ucciso la Perfida Strega dell'Est e di aver liberato la nostra gente dalla schiavitù."
La Strega Buona del Nord a Dorothy

TRAMA
La nostra avventura comincia quando un tornado all'improvviso sradica letteralmente la casa dove Dorothy, una bella bambina, vive con gli zii, e la trasporta dal Kansas fino alla terra di Munchkin, degli strani ometti alti quanto lei. Lì conosce la Buona Strega del Nord, che le spiega che si trovano nel Regno di Oz, e che la casa di Dorothy ha appena schiacciato la Perfida Strega dell'Est, uccidendola. In questo modo in tutto il Regno rimane solamente una strega cattiva (quella dell'Ovest), e due buone (lei e quella del Sud).
Ma a Dorothy poco importa di tutto ciò, vuole tornare a casa da zia Em e zio Henry: per riuscirci dovrà recarsi nientepopodimeno che dal Mago di Oz, nella Città di Smeraldo, seguendo la strada di mattoni dorati. E così, dopo aver indossato le scarpette d'argento che appartenevano alla Strega dell'Est, insieme al fido cagnolino Toto comincia il suo viaggio. Lungo il percorso si uniranno a lei tre strani compagni: uno Spaventapasseri, che vorrebbe chiedere al Mago di Oz un cervello; un Boscaiolo di Latta, che invece desidererebbe un cuore; ed infine un Leone Codardo, che al potente Mago vorrebbe domandare del coraggio.
Il quartetto parte così per una grande avventura, dove dovrà affrontare numerosi nemici e combattere molte battaglie, anche interiori, sperando che il grande Mago di Oz possa premiarli esaudendo i loro desideri.

RECENSIONE
Voglio appositamente tralasciare gli aspetti socio-politici nell'analisi di questo romanzo che, a distanza di più di un secolo dalla sua pubblicazione, ancora viene apprezzato da bambini ed adulti per la favole che è: non conosco abbastanza la storia americana per poterlo fare, e copiare semplicemente ciò che viene detto su Wikipedia sarebbe sciocco nonché inutile. Se volete approfondire questo aspetto, potete cliccare sul link qui sopra.
Parlando invece de Il Mago di Oz come libro per ragazzi, e dell'importanza che ha avuto per la cultura di tutto il mondo, basta pensare che citando le famose "scarpette rosse" (che nella nostra edizione sono diventate argentate) tutti immediatamente pensano alla bimba del Kansas, o alle numerose parodie della storia, o, infine, ai molti film, telefilm o cartoni che più o meno direttamente citano quest'opera di Baum.
Come già sapete a volte non disdegno di leggere libri per ragazzi, nonostante abbia abbondantemente superato quell'età, e giusto qualche anno fa ho ripreso in mano Il Mago di Oz per rispolverare la memoria; ebbene, per il tempo che mi ci è voluto per terminare la lettura è avvenuta davvero una magia (forse proprio per mano del Mago?): sono tornata bambina, e ho vissuto insieme a Dorothy, Toto e i loro tre compagni di viaggio tutte le loro avventure, ho riso con loro, sono stata triste con loro, e quasi quasi alla fine mi sembrava di poter tornare nel Kansas dagli zii.
Un romanzo che andrebbe letto a tutti i bambini, di qualsiasi età, magari con in sottofondo Over the rainbow cantata da Judy Garland. Buon viaggio nel passato!

BW

Nella nostra libreria:
L. Frank Baum
Il Mago di Oz (The Wizard of Oz)
ed. De Agostini
120 pag. 
traduzione di Francesca Pacchiano

sabato 21 giugno 2014

Il caso di Charles Dexter Ward - H.P. Lovecraft (1941)

"Tuttavia il punto cruciale, e quello che secondo il dottor Willett costituì la vera origine della tragedia di Ward, fu il materiale scoperto nell'agosto 1919 dietro il pannello di legno della casa in rovina a Olney Court. Fu quello, senza dubbio, a spalancare la porta sulle nere visioni che dovevano gettare il disgraziato in un abisso senza fondo."
Howard Phillips Lovecraft

TRAMA
La vicenda si apre con la notizia che il signor Charles Dexter Ward, ricoverato presso una nota clinica psichiatrica di Providence, è riuscito a fuggire lanciandosi da una finestra posta ad un'altezza proibitiva e lasciandosi alla spalle solamente un po' di una misteriosa polvere grigia.
La famiglia del giovane che, nonostante l'aspetto raggrinzito e trascurato che lo contraddistingue da qualche tempo, ha solamente ventisei anni, incarica il medico di famiglia, dr. Marinus Bicknell Willett, di occuparsi del caso. Questi arriva quindi a scoprire che il giovane Ward, membro di una famiglia ricca e rispettabilissima, si era recentemente interessato alla storia della sua famiglia e si era appassionato in particolare alla figura di Joseph Curwen, un suo lontano antenato alchimista che godeva di pessima fama essendo stato  accusato, tra le altre cose, di dedicarsi alla stregoneria.
Pare anche che Curwen avesse trovato il modo di comunicare con strane entità demoniache e che cercasse continuamente una via alla resurrezione. Ward sempre più spesso, pertanto, era solito rinchiudersi nel suo laboratorio per studiare enigmatici scritti e per condurre strani esperimenti, a volte per giorni interi. Ed i famigliari, ormai preoccupati per la salute fisica e mentale del ragazzo, affermano convinti che Ward ricevesse delle visite all'interno del proprio studio, sebbene non avessero mai visto entrare nessuno.
Qual'è dunque il mistero di Charles Dexter Ward? Che cosa lo ha condotto piano piano sulla soglia della follia?

RECENSIONE
Realizzato nel 1927 ma pubblicato solamente quattro anni dopo la morte del suo autore, Il caso di Charles Dexter Ward rappresenta a mio modo di vedere uno dei lavori migliori di Lovecraft, nonchè uno dei piu grandi capolavori di ogni epoca per quanto riguarda la letteratura horror.
Si ritrovano qui riunite infatti tutte le colonne portanti dello stile e del vastissimo immaginario lovecraftiano come, ad esempio, le spaventose divinità ancestrali provenienti da altri universi oppure certe abitazioni "infestate" sparse in tutto il New England, che il genio di Providence aveva saputo trasformare da regione tranquilla prediletta dagli americani per trascorrervi rilassanti periodi di villeggiatura, ad un luogo infernale al centro di fenomeni inspiegabili ed assolutamente terrificanti.
Racconto piuttosto complesso ma comunque ben strutturato, con un prologo azzeccatissimo che contribuisce a calare immediatamente il lettore nell'atmosfera di cupa angoscia ed inquietudine che si respirerà poi in ogni sua riga, Il caso di Charles Dexter Ward tratta principalmente di magia nera e lo fa, come al solito, "alla Lovecraft".
L'autore infatti, oltre al suo consueto metodo narrativo (mutato da Poe) secondo il quale spesso le cose e gli eventi non vengono descritti nella loro interezza, lasciando il compito a chi legge di immaginare l'orrore, introduce anche un tema da sempre caro al romanzo gotico; ovvero il principio secondo il quale quando, per qualsiasi ragione, le leggi della natura vengono stravolte dagli esseri umani, le conseguenze sono quasi sempre catastrofiche.
Scritto al termine della traumatica esperienza newyorkese, durante la quale aveva vissuto per due anni insieme alla moglie Sonia, Il caso di Charles Dexter Ward costituisce anche un sincero ed affettuoso omaggio di Lovecraft nei confronti di Providence. Infatti egli si era sempre sentito profondamente a disagio a New York, provando un forte senso di oppressione verso la metropoli, e, funestato da problemi economici e da un matrimonio ormai giunto al capolinea, decise di tornare nell'amata città natale.
La quiete dei boschi del Rhode Island, le ville vittoriane che fecero da scenario a moltissime sue storie (come ad esempio Halsey House, alla quale si ispirò proprio per descrivere l'edificio in cui si consuma la tragedia del povero Ward), e il fatto di trovarsi finalmente in un luogo che Lovecraft considerasse in tutto e per tutto "casa sua", lo portarono a creare un'opera davvero eccezionale.
Un racconto che mischia dunque fantastico, horror, stregoneria e che comprende addirittura anche un pizzico di storia del New England (si dice infatti che Lovecraft fosse entrato in possesso di alcuni documenti riguardanti il celebre Processo alle streghe di Salem del 1692), e che sarà capace ancora una volta di gettarvi in un vero abisso di delirio e terrore. Il tutto, come sempre, orchestrato alla grande dalla sapiente mano di H.P. Lovecraft.

BF

Nella nostra libreria:
Howard Phillips Lovecraft
Dalla raccolta "Tutti i racconti 1927-1930"
Il caso di Charles Dexter Ward (The Case of Charles Dexter Ward)
ed. Oscar Mondadori
131 di 557 pag.
traduzione di Giuseppe Lippi


venerdì 20 giugno 2014

Furore - John Steinbeck (1939)

"Le banche e le società si scavano la fossa con le proprie mani, ma non lo sanno. I campi sono fecondi, e sulle strade circola l'umanità affamata. I granai sono pieni, e i bimbi dei poveri crescono rachitici e pieni di pustole. Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro che potrebbe andare in salari va in gas, in esplosivi, in fucili, in spie, in polizie e in liste nere.
Sulle strade la gente formicola in cerca di pane e lavoro, e in seno ad essa serpeggia il furore, e fermenta."
John Steinbeck

TRAMA
La Grande Depressione fu una vera e propria piaga che in America colpì gran parte della popolazione. Coloro che prima avevano un pezzo di terra da coltivare e riuscivano a vivere dei frutti del loro lavoro all'improvviso si ritrovarono a dover ipotecare, perdendola, quell'unica ricchezza che garantiva loro la sussistenza. E così migliaia e migliaia di famiglie si trovarono costrette ad emigrare dagli stati del Mid-West in California.
I Joad, protagonisti di Furore, come tanti altri non vedono altra soluzione, dopo essere stati sfrattati da quella che era la loro casa, che tentare la fortuna promessa da un volantino di propaganda, e partono per una vera e propria Odissea moderna con la speranza che pesche, arance e uva in abbondanza siano in grado di garantire a tutti loro un posto come raccoglitori.
Il babbo e la mamma, gli anziani nonni, l'ex detenuto Tom, l'adolescente Al, lo strano Noé, la gestante Rosaté ed i bambini Ruth e Winfield; tanto numerosa è la famiglia Joad, a cui peraltro si aggiunge l'ex predicatore Casy. Ma la buona volontà, l'attaccamento ai propri cari, l'orgoglio ed i sani princìpi morali saranno sufficienti a contrastare le difficoltà che li attendono? E soprattutto, sarà davvero tutto oro ciò che luccica in California?

RECENSIONE
Furore, scritto quando ancora la Grande Depressione non era ancora conclusa, ma non era nemmeno più al suo massimo momento critico, è considerato il romanzo simbolo di quel periodo storico per antonomasia. Steinbeck, per chi già avesse letto altre sue opere, non è nuovo a queste tematiche: anche in altri suoi romanzi, come La perla o Uomini e topi, l'autore americano aveva raccontato le vicende dei cosiddetti "ultimi", coloro che per la società valgono meno di un cavallo, come si ripete spesso tra i Joad; ma la crudezza con cui narra le vicende in quest'opera provano il lettore, e lo fanno riflettere.
Il leggere questo libro in un periodo storico come il mostro, in cui la storia sembra ripetersi, anche se in maniera un po' meno violenta, lascia forse ancora più agghiacciati: come in un crudele dejà-vu, anche oggi pochi ricchi detengono potere e ricchezze e possono permettersi, come se fosse un barbaro passatempo contro la noia, di veder lottare i poveri affamati per un lavoro pagato una miseria, che a stento consente loro di sopravvivere e tirare avanti.
Purtroppo credo che quasi chiunque sia stato toccato, personalmente o tramite una qualche persona cara, da questa crisi che da anni ormai colpisce il mondo intero; certo non vi sono più, come nel romanzo di Steinbeck, i poliziotti che caricano gli scioperanti, ma ancora molte famiglie devono fare i conti quotidianamente con ogni singola spesa.
Furore subì diverse critiche fin da subito, proprio per via di ciò che denunciava, ed in un'Italia ancora fascista venne pubblicato l'anno successivo, solo in seguito a diversi tagli e censure. Questo naturalmente non stupisce, era la norma all'epoca. Ciò che mi ha lasciata interdetta però è il fatto che un capolavoro assoluto della letteratura mondiale come questo abbia dovuto attendere ben 73 anni per ricevere una revisione ed una nuova traduzione: solamente nel 2013 infatti la Bompiani ha pubblicato questa nuova edizione.
Quella nella nostra libreria è quindi ancora frutto della "manipolazione" originale; ma nonostante ciò ho trovato Furore talmente appassionante che sicuramente acquisterò anche questa nuova versione e, non appena avrò un attimo di tempo, lo rileggerò per apprezzarne le differenze.
Che altro dire? Steinbeck è un maestro assoluto dell'American Novel, tanto da aver meritato il Nobel nel 1962; d'altronde che sia uno dei miei autori preferiti si è già capito in diversi post precedenti. Ma non è un caso se Furore è comunque il suo romanzo più famoso: senza ombra di dubbio è, almeno tra quelli che ho letto finora, IL romanzo.

BW

Nella nostra libreria:
John Steinbeck
Furore (The Grapes of Wrath)
ed. La Biblioteca di Repubblica
415 pag.
traduzione di Carlo Coardi

  

giovedì 19 giugno 2014

Il diamante del Rajà - Robert Louis Stevenson (1878)

"Svelto lo disotterrò, e vide che era un elegante astuccio rilegato in marocchino con cerniera e fregi dorati. Questo astuccio stava profondamente calcato entro il terreno, e perciò era sfuggito alle affrettate ricerche di Mr. Raeburn. Mr. Rolles lo aprì, e scoppiò in un grido di meraviglia."
Robert Louis Stevenson

RECENSIONE
L'Occhio della Luce è il sesto diamante più grosso del mondo e viene donato dal Rajà di Kashgar direttamente a Thomas Vandeleur, un semplice ufficiale dell'esercito britannico per ricompensarlo di un misterioso e non definito servigio. 
In seguito, Vandeleur diviene grazie al diamante uno dei membri più eleganti della società londinese ed è così che si sposa con una splendida ragazza, molto più giovane di lui ed attratta, più che dal futuro marito, dalla meravigliosa gemma in suo possesso.
Ma la novella Lady inizia ben presto a dissipare ingenti quantità di denaro per i propri capricci, finchè un giorno si vede costretta a convocare Mr. Harry Hartley, il suo fedele ed effeminato segretario a lei devoto in tutto e per tutto, ed affidargli una pesante scatola di cartone per consegnarla ad uno sconosciuto nobiluomo. Nel tragitto Harry viene però derubato del contenuto della scatola, che a questo punto si scopre essere composto dalle gemme di famiglia di sir Thomas, diamante del Rajà compreso, che avrebbero dovuto ripagare i numerosissimi debiti contratti da Lady Vandeleur. 
Il diamante inizia a passare così di mano in mano, e da Londra passa ad Edimburgo, per poi arrivare a Parigi, ma sempre portando sfortuna a chiunque ne entra in possesso di volta in volta.
Strutturato in un modo simile ad un'altra opera dello stesso Stevenson, Il Club dei Suicidi, pubblicata anch'essa nel 1878, anche Il diamante del Rajà è composto da quattro racconti che hanno protagonisti diversi, ma che sono tutti accomunati dal filo conduttore rappresentato dalla ricerca dello straordinario gioiello. Ritroviamo anche uno dei personaggi più stravaganti di Stevenson, il bizzarro principe Florizel di Boemia, già presente ne Il Club dei Suicidi, che in quest'occasione riveste un ruolo decisamente più marginale, anche se troverà ugualmente il modo di lasciare il segno.
Con il suo consueto ed inimitabile stile pregno di eclettismo, Stevenson dà un ulteriore sfoggio della sua grande abilità nel saper tessere trame estremamente suggestive e coinvolgenti, spaziando senza alcuna difficoltà in generi molto diversi tra loro. 
Ed è proprio per la sua grandiosa versatilità e per la notevole sensibilità artistica che io reputo da sempre l'autore edimburghese uno dei più adatti per avvicinare i bambini alla narrativa ed, in virtù del suo essere uno scrittore completo, dotato di una creatività fuori dal comune, può essere apprezzato in ugual modo anche da lettori più "maturi".
Il diamante del Rajà quindi non è che un'altra ennesima riprova di quanto appena detto.

BF

Nella nostra libreria:
Robert Louis Stevenson
Il diamante del Rajà (The Rajah's Diamond)
ed. Sellerio editore
121 pag.
traduzione di Carlo Linati