BW&BF

venerdì 31 gennaio 2014

Requiem - Antonio Tabucchi (1991)

"Questo giorno ti aspetta e tu non puoi sfuggirgli, non puoi sfuggire al tuo destino, sarà un giorno di tribolazione ma anche di purificazione, forse poi sarai in pace con te stesso, figliolo, perlomeno è quel che ti auguro."
La Vecchia Zingara

TRAMA
Una domenica di luglio, in una Lisbona soffocata dalla canicola, un uomo si trova ad incontrare diversi personaggi, molti in sogno, altri forse reali. Le dodici ore in cui si svolge la storia durano in realtà una vita intera, o più, perchè essa è fatta di ricordi e di allucinazioni.
Un enorme, fortissimo omaggio al Portogallo e alla sua cultura scritto da un autore italiano proprio in portoghese, per enfatizzare il suo amore per questo Paese.

RECENSIONE
Se Sostiene Pereira mi era parso un libro "strano" (non in senso negativo!), Requiem (giustamente sottotitolato "Un'allucinazione") lo è in maniera ancora più estrema.
Già il fatto che si tratti di un romanzo scritto in una lingua che non è quella madre dell'autore, poichè "una storia come questa avrebbe potuto essere scritta solo in portoghese, e basta", fa capire quanto esso non si limiti a ciò che viene scritto, ma a molto di più. Anche ciò che viene sottinteso, e che magari nemmeno viene colto dal semplice lettore, è ricco di significato, perchè sono convinta che davvero si tratti dei ricordi di Tabucchi, o dei suoi sogni.
Requiem, insomma, è un libro da leggere, da vivere, non da spiegare.
Voglio solo lanciarvi una piccola sfida (e non barate, mi raccomando!): riuscite a capire chi è l'ultimo ddei personaggi incontrati dal narratore, colui che viene chiamato "Il mio Convitato"? Io lo ammetto: nella mia profonda ignoranza non ci ero arrivata.

BW

Nella nostra libreria:
Antonio Tabucchi
Requiem. Un'allucinazione (REQUIEM uma alucinação)
ed. Universale Economica Feltrinelli
139 pag.
traduzione di Sergio Vecchio

giovedì 30 gennaio 2014

Il segno dei quattro - Arthur Conan Doyle (1890)

"È estremamente importante non permettere che il nostro giudizio sia influenzato da sentimenti personali. [...] L'emotività è nemica del raziocinio. Le assicuro che la donna più affascinante che io abbia mai conosciuto fu impiccata per aver avvelenato tre bambini allo scopo di incassarne l'assicurazione..."
Sherlock Holmes


TRAMA 
Tutto inizia con miss Mary Morstan, giovane e graziosa fanciulla, che si presenta nello studio di Baker Street per sottoporre il proprio caso a Sherlock Holmes ed al fido dottor Watson.
Circa dieci anni prima il padre di Mary, ufficiale di lungo corso di stanza in India, riceve con sua grande gioia un congedo di un anno e può così tornare in madrepatria per riabbracciare nuovamente la figlia ma, una volta giunto a Londra, questi scompare misteriosamente senza lasciare traccia.
Quattro anni dopo, appare sul Times una strana inserzione nella quale si invita miss Morstan a farsi viva; la ragazza ubbidisce pubblicando sulla colonna degli annunci il proprio indirizzo e lo stesso giorno riceve per posta una scatolina contente una perla di grande valore. E così avviene per i successivi sei anni, il tutto in forma rigorosamente anonima.
Tutto questo fino a quella mattina, quando riceve un messaggio in cui il mittente le domanda di poterla incontrare la sera stessa, affermando che è stata vittima di una grave ingiustizia e si raccomanda di non avvertire la polizia.
La ragazza chiede quindi ai due di accompagnarla all'appuntamento. Arrivati dunque nel luogo prestabilito incontrano Thaddeus, uno dei due figli del defunto maggiore John Sholto, compagno d'armi del padre di Mary in India, che racconta loro la misteriosa storia di un favoloso tesoro che i due amici avrebbero trovato in India, ma del quale non fece in tempo a parlare. Thaddeus chiarisce anche il mistero sulla scomparsa di Morstan e riferisce che John appariva molto spaventato negli ultimi anni di vita a causa di una strana lettera che aveva ricevuto e che veniva colto da un'inspiegabile inquietudine ogni volta che incrociava qualcuno con una gamba di legno. Forse ci sarebbe anche altro da dire, ma il giorno seguente Taddeus Sholto viene rinvenuto cadavere nella sua stanza, completamente messa a soqquadro, e dove sul pavimento è presente un foglio con una scritta enigmatica: Il segno dei quattro.

RECENSIONE
Seconda avventura dell'investigatore per eccellenza, il romanzo si apre con uno shock che potrebbe anche turbare le anime più candide e tutti coloro che conoscono in modo superficiale la figura di Sherlock Holmes,  magari attraverso qualche sciocco stereotipo sulla falsariga di "Elementare, Watson!" (che in realtà è un clamoroso falso storico).
Dovete sapere (sempre ammesso che non lo sappiate già) che il signor Holmes, quell'elegante ed impeccabile gentleman, sì proprio lui, quel raffinato e colto signore dai modi distinti, si droga come un cavallo.
Quando egli è in preda alla noia dovuta alla mancanza di casi particolarmente stimolanti infatti, per far fronte alla depressione e per cercare di tenere la mente sempre sveglia, si inietta regolarmente dosi di cocaina e morfina, ed a nulla servono le proteste del dottor Watson che, in quanto medico, si preoccupa giustamente della salute dell'amico tanto da tenerlo sotto controllo costante.
Questo solo per dire che uno dei personaggi letterari più famosi di tutti i tempi se guardiamo bene è presente nell'immaginario della maggioranza delle persone esclusivamente per come è stato dipinto in tutti questi anni: ovvero un personaggio sì brillante, ma anche snob, antipatico e saccente, che si limita a fare deduzioni mentre con una lente d'ingrandimento è impegnato ad osservare un antico mobile, in una ricca casa di campagna inglese, alla ricerca di chissà cosa.
Forse non tutti sanno invece che mr. Holmes non è certo uno che se ne sta lì a fare unicamente un lavoro d'intelletto, anzi fondamentalmente egli è un uomo d'azione.
Non sono rari i casi in cui egli conduce le indagini in prima linea, ricorrendo a particolarissimi travestimenti grazie al quale si infiltra senza destare sospetti nei quartieri più degradati. Oppure che egli si avvale dei preziosi servigi di un gruppo di ragazzini dei bassifondi che, in cambio di qualche soldo, gli riferiscono tempestivamente cosa avviene e cosa si dice negli ambienti della malavita londinese.
Come se non bastasse poi, egli è anche un buon pugile, un abile schermidore e, uno dei pochi europei della sua epoca, anche un conoscitore di arti marziali. Quindi si può ben capire come la sua figura sia stata totalmente stravolta ed edulcorata nel corso degli anni.
Dopo questa lunga, ma necessaria premessa, veniamo al libro. Il segno dei quattro è considerato da molti come il racconto migliore di Conan Doyle che ha per protagonista il suo personaggio più noto, ed è una fama ampiamente meritata.
Questo è il racconto che più contribuì a dare celebrità all'autore e che scatenò all'epoca una vera e propria Holmes mania, soprattutto in Gran Bretagna e negli USA, dal momento che il precedente Uno studio in rosso era stato inspiegabilmente ignorato dai più.
Il segno dei quattro inoltre è un romanzo fondamentale, anche ma non solo per i motivi elencati prima, per chi vuole entrare davvero in contatto con l'universo del celebre investigatore e del suo fedele aiutante e che non si accontenta delle discutibili trasposizioni cinematografiche o di fiction del momento. Chiaramente ognuno è liberissimo di fare come meglio crede, ma io trovo che non sarebbe male conoscere prima le opere originarie e poi eventualmente le versioni "alternative" e fantasiose, così da poter addirittura arrivare ad apprezzare in modo perverso persino le cose più assurde, come ad esempio un dr. Watson dalle fattezze di Lucy Liu od una serie di Sherlock Holmes ambientata a New York. Dopotutto, per costruire una casa è consigliabile partire dalle fondamenta.

BF

Nella nostra libreria:
Arthur Conan Doyle
Dalla raccolta "Tutto Sherlock Holmes"
Il segno dei quattro (The Sign of the Four)
ed. Newton Compton Editori
77 di 1240 pag. 
traduzione di Nicoletta Rosati Bizzotto




 


mercoledì 29 gennaio 2014

Fisica quantistica della vita quotidiana - Piergiorgio Paterlini (2013)

"Scusami, sono di corsa"
(Romanzo nr. 2, "A chi lo dici")

RECENSIONE
Come se parlasse di un saggio, e non di un romanzo, questo post salta a pié pari la trama e parte subito dalla recensione. Ma Fisica quantistica della vita quotidiana non è un saggio, anzi!
Come suggerisce lo stesso sottotitolo, non è un romanzo, bensì "101 microromanzi" (fidatevi, sono proprio 101: li ho contati personalmente); ed è per questo motivo che è semplicemente impossibile scriverne la trama.
I quanti a cui fa riferimento il titolo sono, secondo la scienza che da loro prende il nome, "quantità discrete ed indivisibili di una certa grandezza"; in questo caso stanno ad indicare la microscopicità dei romanzi, a volte composti da una sola frase, a volte addirittura da ancora meno (ad esempio il romanzo intitolato "Non ti è ancora passata, eh?").
L'idea del libro è carina: numerose storie apparentemente scollegate tra loro (ma non sempre: spesso un sottilissimo filo conduttore ci porta da una all'altra), meticolosamente ordinate alfabeticamente a seconda del loro titolo. Forse però l'autore ha un po' esagerato: a mio modestissimo parere avrebbe dovuto ridurre il numero di romanzi, magari evitando che alcuni di essi fossero così ridotti meno che all'osso. Anche perché la caratteristica principale che li contraddistingue e che inizialmente rende il libro molto interessante alla lunga si rivela essere invece il suo più grande difetto, quasi tedioso: l'elemento sorpresa.
I capitoli infatti, lunghi (si fa per dire) o brevi che siano hanno tutti un colpo di scena che ribalta totalmente l'idea iniziale che ci eravamo fatti della situazione, e se all'inizio la trovata stuzzica il lettore dopo un po' si sa già che nulla è ciò che appare, e si intuisce in partenza come terminerà il romanzo di turno.
Fisica quantistica della vita quotidiana è comunque un libro che definirei "carino", senza infamia e senza lode, che si legge in un'oretta e che sicuramente non fa venire il mal di testa per la troppa concentrazione.
Se però posso muovere una critica, vista la brevità del libro (non solo come numero di pagine: dubito fortemente che per scriverlo Paterlini abbia dovuto spendere anni e anni di studio e di ricerca) anche il prezzo avrebbe dovuto essere un po' più quantistico: ai tempi della crisi, anche 13 euro possono risultare eccessivi.

BW

Nella nostra libreria:
Piergiorgio Paterlini
Fisica quantistica della vita quotidiana. 101 microromanzi
ed. Einaudi
123 pag.

 

martedì 28 gennaio 2014

Dossier Odessa - Frederick Forsyth (1972)

"Ancora non l'ha capito? Allora glielo dirò io. [...] Noi tedeschi siamo un popolo molto obbediente. É la nostra più grande forza e la nostra più grande debolezza. Ci rende capaci di costruire un miracolo economico mentre gli inglesi sono in sciopero, e ci rende capaci di seguire uno come Hitler fino allo sterminio di massa."
Hans Hoffmann

TRAMA
Questa storia comincia la sera del 22 novembre 1963. Mentre in tutto il mondo si sta apprendendo con sgomento la notizia dell'assassinio del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, ad Amburgo Peter Miller, un giovane ed intraprendente reporter, assiste casualmente al suicidio di un anziano signore nel quartiere malfamato di Altona.
Grazie ad un amico poliziotto viene quindi a sapere che il vecchio si chiamava Solomon Tauber, ebreo scampato all'Olocausto, e che aveva raccolto in un diario la sua drammatica esperienza nel lager di Riga-Kaiserwald. L'amico, vice-ispettore Brandt, consegna il diario a Peter pensando in questo modo di dargli un po' di materiale per un articolo.
Il giovane giornalista, una volta a casa, legge tutto il manoscritto e rimane sconvolto dalle brutalità perpetrate nel campo di concentramento da parte del capitano delle SS Eduard Roschmann, tristemente noto come "Il macellaio di Riga".
A questo punto Miller, a dispetto del parere di tutti che gli consigliano di lasciar perdere, è deciso a ritrovare e consegnare alla giustizia Roschmann, il quale una volta finita la guerra è riuscito a scampare alla cattura fuggendo in Argentina.
Peter si reca successivamente a Vienna, dove incontra il famoso "cacciatore di nazisti" Simon Wiesenthal che gli spiega come i più famigerati gerarchi delle SS riescano ancora a nascondersi al mondo intero grazie all'ODESSA, una potente organizzazione che si occupa di proteggere gli ex criminali nazisti, fornire loro passaporti falsi e favorirne la fuga in America Latina, dove i regimi dell'epoca simpatizzano più o meno apertamente con la loro causa e sono più che lieti di collaborare.
Peter viene però a conoscenza del fatto che Roschmann si trova di nuovo in Germania, sotto falso nome, e che dirige addirittura un'industria di elettronica specializzata nella produzione di apparecchi radiofonici.
Inizia così una caccia all'uomo in tutta la Germania dove Miller, a sua volta braccato dai sicari dell'ODESSA che nel mentre sono riusciti a scoprire le sue intenzioni, cercherà in tutti i modi di rintracciare l'ex gerarca e realizzare così un reportage davvero esplosivo. Questo è quello che dice, ma forse le sue reali intenzioni potrebbero essere altre...

RECENSIONE
Scrupolosa descrizione della Germania degli anni sessanta, combattuta tra l'orgoglio per la ritrovata prosperità economica dovuta alla rapida ricostruzione e la pesantissima eredità di un triste passato che vorrebbe solo dimenticare, Dossier Odessa è il secondo romanzo dell'inglese Frederyck Forsyth, ex pilota della RAF ed ex giornalista d'assalto, dopo il clamoroso successo del bestseller Il giorno dello sciacallo.
Forsyth, uno dei più grandi scrittori di spy-story di sempre, imbastisce una trama dove personaggi di fantasia ed altri realmente esistiti danno vita ad una serie di avvenimenti che non mancheranno di appassionare il lettore. 
Scritto con la collaborazione di chi visse quei drammatici eventi in prima persona, questo libro si presenta piuttosto diverso dal suo predecessore. Pur essendo un buon thriller infatti, devo dire che non è riuscito a coinvolgermi come aveva fatto Il giorno dello sciacallo. Il ritmo è decisamente più lento e in alcuni punti la storia perde a mio avviso un filo di credibilità, dal momento che il protagonista appare spesso come una specie di "Rambo" teutonico, anzichè un normalissimo giornalista.
Al di là di tutto ciò, credo comunque che Dossier Odessa resti in ogni caso un romanzo più che discreto, estremamente interessante sotto molti aspetti, dove l'autore dimostra indubbiamente di sapere il fatto suo e di avere anche una certa conoscenza degli argomenti trattati. Il finale a sorpresa poi contribuisce a dare un po' di verve alle ultime pagine anche in virtù della descrizione dell'ultimissima immagine, incredibilmente profetica. Chiudo facendo notare che il romanzo in questione venne pubblicato solo pochi mesi prima della tragica strage delle Olimpiadi di Monaco, ovvero il massacro degli atleti israeliani ad opera di un commando palestinese. Lungi da me voler cercare un collegamento, che apparirebbe quantomeno più che forzato, tra i due avvenimenti, ma credo si tratti piuttosto di un'ulteriore riprova di una certa lungimiranza e perspicacia da parte dello scrittore inglese, attentissimo osservatore della realtà ed assai capace, ieri come oggi, nel saper cogliere "l'aria che tira".

BF

Nella nostra libreria:
Frederick Forsyth
Dossier Odessa (The Odessa File)
ed. Oscar Mondadori
351 pag.
traduzione di Marco Tropea










lunedì 27 gennaio 2014

Vendetta al palazzo di giada - Dale Furutani (1999)

ATTENZIONE!!! Il libro di cui stiamo per parlare è il secondo della Trilogia del Samurai. Se non avete letto il precedente, intitolato Agguato all'incrocio, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.



"Grazie per avermi permesso di usare la tua spada, Ishibashi-san [...] Mi dispiace di averla impiegata per uccidere qualcuno, ma non ho potuto farne a meno."
Matsuyama Kaze

TRAMA
Alla fine di Agguato all'incrocio, Matsuyama Kaze aveva ricevuto in regalo del cibo da un ragazzo a cui aveva ceduto il proprio letto, come segno di gratitudine; e solamente quando il giovane era già partito il samurai si era accorto che il cibo era avvolto in un pezzo di stoffa ricavato da un kimono con sopra lo stemma del suo signore, ovvero tre fiori di susino.
Kaze è ora, quindi, sulle tracce del trio composto dal ragazzo stesso, dalla sua autorevole Nonna e dal loro servitore. I tre, che fanno parte della famiglia Noguchi, debbono compiere una vendetta autorizzata, anche se il ronin non sa nè quale sia il motivo nè contro chi essa debba essere compiuta.
Si ritrova così sulla Tokaido, la lunga e importante strada che congiunge Kyoto con Edo, un po' grazie al lavoro d'indagine effettuato nei villaggi ed un po' seguendo il fato, sperando di raggiungere il terzetto per poter chiedere loro informazioni, nel tentativo di ottenere qualche elemento che lo porti a trovare la figlia del suo signore. Ma proprio perchè così importante e trafficata la Tokaido è anche una strada molto pericolosa.
Il samurai infatti si imbatte in un mercante circondato da numerosi banditi, che dopo aver ucciso le sue guardie del corpo stanno cercando di fare altrettanto con l'uomo; il bushido impone a Kaze di difendere il viandante in difficoltà, e vista la minaccia che i complici dei briganti lo attacchino nuovamente decide di aiutarlo a trasportare fino a una destinazione sicura il pesante forziere pieno d'oro che si trova sul suo carretto.
Stando a ciò che dice Hishigawa, il mercante, quest'oro è il secondo bene più prezioso che egli possiede: il primo è senza ombra di dubbio Yuchan, la sua bellissima moglie, che egli ama alla follia.
Qualcosa non torna, però, e Matsuyama capisce che Hishigawa nasconde qualcosa, e che in qualche modo è collegato al trio che lui sta cercando; così, per la seconda volta, tralascia momentaneamente la ricerca della bambina per imbattersi in una pericolosa avventura.

RECENSIONE
Vorrei paragonare la Trilogia del Samurai ad un pasto: in Agguato all'incrocio Furutani ci ha servito un ottimo primo piatto, che ha solleticato il nostro palato deliziandoci e facendoci desiderare di proseguire il banchetto luculliano.
Vendetta al palazzo di giada è invece la seconda portata, che per sua natura dev'essere più corposa, robusta e sostanziosa della prima. In questo libro infatti ritroviamo sì lo stesso stile del precedente, molto accattivante, pieno di azione ma anche di momenti di profonda riflessione e introspezione, ma con meno episodi umoristici. Il cuoco è sempre lo stesso, ma ha tralasciato le stuzzicherie che servivano a farci venire l'appetito per concentrarsi più sulla sostanza, saziando la nostra fame di avventura.
Attenzione però, ciò non significa affatto che Vendetta al palazzo di giada sia meno bello, si è solo adattato alla sua posizione nella storia globale di Matsuyama Kaze. Ed anche in questo sta l'abilità dell'autore: quasi sicuramente sin dall'inizio aveva ben in mente l'idea della trilogia, e con maestria ha saputo svilupparne i singoli episodi. L'unico appunto che si potrebbe fare a Furutani, se proprio si vuole cercare il pelo nell'uovo, sta nel finale, a mio avviso un filo forzato. Ma assolutamente nulla di irreparabile, semplicemente si tratta di un piccolo stratagemma per collegare questo al romanzo successivo.
Ora non ci resta che aspettare che arrivi il dessert, fiduciosi che sia ghiotto ed all'altezza dell'intera cena.

BW

Nella nostra libreria: 
Dale Furutani
Vendetta al palazzo di giada (Jade Palace Vendetta)
ed. Marcos y Marcos
283 pag.
traduzione di Valentina Riolo

  

domenica 26 gennaio 2014

Il Medioevo e il fantastico - J.R.R. Tolkien (1983)

"Il nano al posto giusto vede spesso cose che il gigante che viaggia ed erra per molti paesi perde di vista."
John Ronald Reuel Tolkien

RECENSIONE
Un libro può essere ricercato a lungo, bramato, desiderato ardentemente tanto da spingerci a rastrellare fiere e mercatini dell'usato, piuttosto che ad effettuare minuziose ricerce su internet alla ricerca di una copia del raro oggetto del nostro desiderio. Ma non sempre è così, anzi: moltissime volte mi è capitato di imbattermi in un libro, che avrei poi scoperto capace di colmarmi di piacere per la sua lettura, in maniera del tutto casuale, quasi per noia.
Così è stato anche per il libro di cui sto per parlare: mi trovavo in una delle librerie in cui mi reco abitualmente ogni settimana o due, dicendo tra me e me "Dò solo un'occhiata, ma non devo prendere nulla, in fondo ho già diverse letture in cantiere" (e puntualmente mento a me stessa, uscendo con almeno un nuovo elemento della nostra libreria). Amo in particolar modo questa libreria, nonostante le commesse non siano dei mostri di simpatia e gentilezza, per due motivi fondamentalmente: il primo è che, nonostante sia un esercizio piuttosto piccolo all'interno di un centro commerciale, ha un assortimento di titoli, autori e generi degni del più grande e rinomato negozio di libri della mia città; il secondo è che è organizzata piuttosto bene, o almeno è così che organizzerei io la mia libreria (intesa come negozio) se ne avessi una, ovvero per generi. E così mi diletto a "fluttuare" da un'isola all'altra, curiosando alla ricerca di un qualche piccolo tesoro da portare a casa, o perlomeno da desiderare fino all'arrivo dello stipendio.
Tornando al nostro libro di oggi, stavo per l'appunto "fluttuando" tra i gialli e "l'isola dei libri sporcaccioni" (come ho ribattezzato il punto dove hanno concentrato i romanzi erotici, da Cinquanta sfumature di grigio in poi), quando sono capitata davanti al "reparto nerd", con il quale concludo solitamente la mia gitarella; e lì, nascosto tra una prepotente versione rilegata de Il Trono di spade e millemila edizioni (possibilmente con la foto del film) de Lo Hobbit, ho visto LUI.
Sono convinta che ci sia una sorta di magia (anzi, l'autore mi correggerebbe e parlerebbe di incantesimo) emessa da un libro che mi spinge a sceglierlo un po' a scatola chiusa, e così è stato anche per Il Medioevo e il fantastico. Ovviamente prima di prenderlo ho letto sulla IV di copertina di cosa si trattava, ma in cuor mio già sapevo che doveva essere mio. Quando poi ho visto che, nonostante l'autore fosse J. R. R. Tolkien, autore di immense opere tra cui appunto Lo Hobbit, Il Signore degli anelli e Il Silmarillion, non si trattava di un romanzo bensì di un insieme di saggi sulla filologia e la linguistica, ne ho avuto la conferma.
Dopo un'interessantissima introduzione di Gianfranco De Turris e una dovuta prefazione di Christopher Tolkien, figlio dell'autore e curatore dell'opera, il libro si compone da sei brani più il discorso di commiato di Tolkien all'Università di Oxford, dove ebbe la cattedra di Anglosassone e quella di Lingua e Letteratura Inglese.
Non lasciatevi ingannare da quanto affermato nella prefazione però: non si tratta affatto di brani rivolti ad un pubblico non specializzato, o almeno io, pur essendo laureata proprio in Lingue e Letterature ed avendo seguito lezioni e sostenuto esami di filologia, compresa quella germanica, ho trovato piuttosto complessa la lettura. Può essere che ciò sia dovuto al fatto che comunque questi estratti siano stati scritti diversi decenni fa; ma qualunque sia la causa, trovo che chi fosse interessato a questo tipo di argomento, così come alla mitologia norrena ed anglosassone, troverà comunque la lettura assolutamente interessante, e riuscirà a superare lo scoglio della difficoltà.
I primi due saggi trattano del Beowulf, il poema epico anticoinglese risalente all'VIII secolo; il primo a proposito delle edizioni critiche e dei trattati incentrati su di esso, il secondo è in realtà la prefazione all'edizione del 1940 di una vecchia traduzione dell'opera e parla proprio delle difficoltà e delle necessità relative alla traduzione stessa.
Il terzo brano è sempre improntato sulla filologia, ma l'oggetto del suo interesse è stavolta il romanzo cavalleresco in medio inglese Galvano e il Cavaliere Verde, di cui confesso di non aver mai sentito parlare prima e che è stato per me un'interessante scoperta. Non solo: credo che questo sia forse il capitolo di più facile  comprensione anche per i non "addetti ai lavori"
Il quarto brano, "Sulle fiabe", analizza non tanto la struttura delle fairy tales, letteralmente i "racconti fatati", quanto le loro origini, il loro scopo e il perchè non dovrebbero mai essere edulcorate, neppure per renderle più adatte ai bambini.
Col quinto e il sesto capitolo Tolkien passa dall'argomento Letteratura a quello Lingua, prima in un'appassionata lezione su inglese e gallese, dove dichiara in particolare il proprio amore per quest'ultimo idioma, poi in una vera e propria confessione su quello che definisce il suo "vizio segreto", ovvero il suo hobby di inventare lingue, studiandone la struttura fin nei minimi dettagli e perfezionandole per cercare di renderle il più poetiche possibile (lingue che, tra l'altro, adoperò nel più famoso dei suoi romanzi).
Infine, nel suo discorso di commiato l'autore si è tolto più di un sassolino dalle proprie scarpe, criticando duramente la struttura accademica dell'Università oxoniense, ma tutto comunque con un impeccabile stile British.
Insomma, se siete appassionati dello scrittore che ha inventato il genere fantasy e siete curiosi di conoscerne altri aspetti o se la vostra sete di mitologia, filologia e linguistica ha bisogno di essere placata, Il Medioevo e il fantastico è assolutamente un libro che vi consiglio di leggere, armati di pazienza, concentrazione e magari di un buon dizionario.

BW

Nella nostra libreria:
J.R.R. Tolkien
Il Medioevo e il fantastico (The Monsters and the Critics and Other Essays)
ed. Bompiani
340 pag.
traduzione di Carlo Donà
a cura di Christopher Tolkien

  

sabato 25 gennaio 2014

Pet sematary - Stephen King (1983)

"Cara, è soltanto un cimitero di animali."
Louis Creed

TRAMA
In una bella giornata di fine estate la famiglia Creed, composta da Louis, sua moglie Rachel, i figli Ellie e Gage e dal gatto Church, si trasferisce da Chicago nella piccola cittadina di Ludlow nel Maine, in quanto Louis ha appena ottenuto il posto di responsabile del servizio medico presso la locale Università.
I Creed fanno da subito amicizia con una coppia di anziani vicini, Jud e Norma Crandall, i quali stravedono letteralmente per i due bambini mentre Louis, che è rimasto orfano di padre in tenerissima età, si affeziona tantissimo a Jud iniziando a vedere in lui una sorta di nuova figura paterna.
I problemi iniziano il giorno in cui Jud decide di portare la famiglia a fare una passeggiata nei boschi dietro casa. Il sentiero infatti conduce ad una radura nella quale sorge un piccolo cimitero dove i bambini del paese sono soliti seppellire da sempre i loro animaletti da compagnia e questa cosa non fa piacere a Rachel, che in seguito litiga aspramente per questo motivo col marito, dal momento che teme che la piccola Ellie possa essere rimasta in qualche modo impressionata. Va detto che Rachel non si è mai completamente ripresa dal trauma della morte della sorella Zelda, avvenuta diversi anni prima a causa di una meningite spinale.
Proprio quando tutto sembra essersi risolto, si verifica un altro evento sconvolgente del quale è vittima questa volta Louis. Victor Pascow, uno studente dell'Università, rimane coinvolto in un incidente stradale e poco prima di morire rivolge al giovane medico, pur non conoscendolo, le sue ultime parole. La notte seguente Louis ha un incubo vividissimo, nel quale lo stesso Victor gli mostra il noto "cimitero degli animali" e gli intima di non avvicinarsi ad esso per nessuna ragione.
Egli a questo punto si sveglia molto scosso, per poi calmarsi una volta resosi conto che si è trattato solo di un sogno, probabilmente causato dalla brutta esperienza vissuta il giorno prima.
Tutto a posto, se non fosse che poco dopo si accorge di avere i piedi sporchi di terriccio e di aghi di pino...

RECENSIONE
Prima di iniziare, permettetemi di dare un piccolo consiglio a chi non ha ancora letto quello che io considero uno dei migliori romanzi di Stephen King: occhio, perchè Pet sematary ci va giù davvero pesante. E fa realmente paura, come solo pochi altri libri sono in grado di fare.
Pet sematary infatti suscita forti sensazioni in grado di sconvolgere anche il lettore più scafato. Se pensate che io stia esagerando vi dico solo una cosa: premesso che penso di essere una persona emotivamente nella media (per intenderci non sono certo un "cuore di pietra" ma nemmeno uno facilmente impressionabile), l'unica volta che mi capitò di leggere questo libro, oltre a vivere momenti di grande paura ed inquietudine, mi ritrovai spesso con gli occhi pieni di lacrime in preda ad una tristezza intensa. Dopodichè lo riposi nello scaffale, e non lo toccai mai più. Anzi, qualche anno dopo lo regalai ad un mio amico dell'epoca. Successivamente lo ricomprai, ma solo per farlo leggere a BookWorm, io non ho ancora avuto il coraggio di riaffrontarlo un'altra volta.
Capisco che il tutto possa apparire un po' eccessivo, ma il grande potere destabilizzante di questo romanzo, oltre forse al fatto che lo lessi in un periodo particolarmente brutto della mia vita, ha contribuito a far sì che divenisse una specie di spauracchio.
Ciò non toglie che, a quanto pare, non sono proprio l'unico a pensarla così dal momento che quanti hanno avuto a che fare con Pet sematary affermano quasi tutti di aver avvertito le stesse violente emozioni.
Stephen King, solito grandissimo narratore, si cimenta qui in alcuni dei suoi temi prediletti come ad esempio la famiglia felice che poco a poco si ritrova con l'esistenza sconvolta, i traumi sepolti nel passato che tendono a riaffiorare, il suo strano rapporto di amore-odio con le macchine, gli incidenti stradali, il folklore e le leggende dei Nativi Americani.
Oscuro e devastante, Pet sematary è a tutti gli effetti un libro che, seppur rappresenti una delle migliori prove dello scrittore del Maine, risulta tra i suoi lavori più sottovalutati e, certamente, meno conosciuti. In Italia poi, credo che abbia riscosso addirittura più notorietà il film che ne è stato tratto (senza infamia e senza lode), intitolato Cimitero vivente, forse anche per merito della notevole colonna sonora realizzata dai Ramones, il gruppo preferito di King.
Una storia cupa e piena di spettri sulla quale aleggia costantemente la domanda: una volta perduta la felicità, cosa saresti disposto a fare pur di riottenerla?

BF

Nella nostra libreria:
Stephen King
Pet sematary (Pet Sematary)
ed. Sperling Paperback
417 pag.
traduzione di Hilia Brinis








venerdì 24 gennaio 2014

Una coppia perfetta - Joe R. Lansdale (2013)

"Tirai fuori il cellulare e chiamai Leonard.
<<Dimmi>> rispose
<<Hai presente quell'Henry? Beh l'ho appena visto. É grosso.>>
<<Grosso quanto?>>
<<Hai presente il robot di Ultimatum alla Terra?>>
<<Oh, cazzo.>>
<<Già.>>"
Hap Collins


RECENSIONE
Ormai abbiamo imparato a conoscerli bene: Hap il bianco, il liberal, il sentimentale dalle cotte facili. Leonard è invece il repubblicano, il reduce del Vietnam patito di armi, ed è nero ed omosessuale; due caratteristiche queste ultime che nella cittadina del Texas orientale dove sono ambientate le loro avventure non lo rendono certo il personaggio più popolare.
Insieme formano veramente Una coppia perfetta, come annuncia il titolo di questo volume che raccoglie tre storie finora inedite in Italia che hanno per protagonisti i due personaggi più amati creati dalla stupefacente immaginazione di Joe Lansdale.
E stupefacente è anche la capacità dei due amici di andarsi sempre a cercare (e trovare) nuove rogne, soprattutto a causa del maledetto viziaccio di non farsi mai i cavoli loro e dell'abitudine innata di cercare di risolvere i problemi più con il cuore, e le mani, che non con il cervello. Per fortuna che c'è pure Brett, la bella e focosa compagna di Hap che ogni tanto, ma non sempre, riesce a farli ragionare un attimo impedendo ai due casinisti di fare del loro peggio.
Così il prolifico autore di Gladewater ci regala tre perle in cui mostra di essere (e con lui anche i suoi personaggi) ancora una volta in formissima, raccontando come solo lui sa fare le diverse ed ingarbugliatissime vicende in cui vengono coinvolti i nostri due (anti)eroi.
Nella prima, dal tarantiniano titolo Le iene, Hap e Leonard sono alle prese con Donny, un ragazzino ingenuo che, in modo del tutto incosciente, è entrato in una banda di tizi assai poco raccomandabili che rapinano furgoni blindati capitanata da un orribile figuro che si fa chiamare Smokestack (cioè ciminiera). Il giovanotto, una volta resosi conto della reale natura dei suoi compari, vorrebbe chiamarsi fuori ma non sa come fare ed inoltre ha paura della possibile vendetta degli altri componenti della gang. Kelly quindi, il fratello maggiore, chiede aiuto ai due "detective per caso" affinchè possano riportargli a casa il fratellino, possibilmente tutto d'un pezzo. 
Un classico racconto in stile Lansdale, non originalissimo se vogliamo, ma senza dubbio godibile e pieno sia di azione, sia di quei meravigliosi ed esilaranti dialoghi che risultano essere da sempre tra le componenti più apprezzate dell'intera serie.
Il secondo episodio, Veil in visita, scritto a quattro mani insieme all'amico Andrew Vachss, è di sicuro uno dei più atipici di Hap e Leonard. Si svolge infatti all'interno di un'aula di tribunale, dove sta avendo luogo un processo a carico di Leo accusato di aver incendiato per l'ennesima volta la casa dei vicini spacciatori di crack.
A provare ad evitargli una dura condanna verrà chiamato l'enigmatico Veil, avvocato decisamente fuori dagli schemi che pare essere legato ad Hap da un'oscura vicenda di sangue avvenuta molti anni prima e che, tanto per cambiare, Leonard detesta cortesemente.
Infine abbiamo Una mira perfetta, racconto che ci mostra una bella donna vittima di stalking da parte dell'ex marito, un caso solo apparentemente semplice che si complica in modo pazzesco fino alle più estreme conseguenze.
Insomma, come di consueto quando ci sono di mezzo i due amici texani, preparatevi ad una bella scorpacciata di botte, sparatorie e battutacce al vetriolo in questa raccolta che, seppur non imperdibile, si lascia divorare in pochissimo tempo e che provvede a saziare la fame di Hap e Leonard in attesa che arrivi il piatto forte, ovvero il nuovo capitolo della saga che al momento sembrerebbe chiamarsi Blue to the bone
Alla prossima avventura dunque e, mi raccomando, che nessuno nel frattempo si azzardi a toccare i wafer alla vaniglia di Leonard, altrimenti sì che saranno guai...

BF


Nella nostra libreria:
Joe R. Lansdale
Una coppia perfetta. I racconti di Hap e Leonard (Hyenas, Veil's Visits, Dead Aim)
ed. Einaudi Stile Libero Big
191 pag.
traduzione di Luca Briasco







giovedì 23 gennaio 2014

Il segreto del Bosco Vecchio - Dino Buzzati (1935)

"Mancano particolari sul come Sebastiano Procolo venne a scoprire la faccenda dei genî e del vento Matteo. [...] Ma è indiscutibile che il Procolo non ci mise molto a conoscere la verità; senò non sarebbe successo quello che poi avvenne."
Dino Buzzati

TRAMA
Quando il Morro, l'uomo più ricco della vallata, muore lasciando i suoi beni in eredità ai due nipoti Sebastiano e Benvenuto Procolo, la vita degli abitanti della Valle di Fondo e di quelli del Bosco Vecchio cambia improvvisamente: è vero che Benvenuto è solo un bambino di dodici anni che ancora frequenta il collegio, gracile e deboluccio, e che quindi non può compiere azioni potenzialmente dannose; ma è pur vero suo zio, il colonnello Sebastiano, ne è il tutore.
Il Procolo ben presto scopre che il Bosco Vecchio è abitato da genî, esseri semplici e benigni capaci di assumere la forma di animale o di uomo, e decide di sfruttarli per ottenere grandi quantità di legna da vendere con cui arricchirsi.
Ma i genî cercano di ribellarsi, così il colonnello libera il terribile vento Matteo, imprigionato dagli stessi esseri della foresta più di vent'anni prima, che per gratitudine si mette al suo servizio.
Col passare del tempo la cupidigia avvelena sempre più il cuore del severo proprietario, tanto da spingerlo a desiderare ed organizzare la morte del nipote. Resta da vedere se il magico ambiente che lo circonda riuscirà a redimerlo e fermarlo dalle sue malefiche intenzioni.

RECENSIONE
Faccio una premessa dedicata a questa particolare edizione in nostro possesso: trovo un filo esagerato da parte dell'editore inserire ben 44 pagine tra introduzione, cronologia e bibliografia prima dell'inizio del libro vero e proprio. Se è pur vero che la cronologia posta in quella posizione può essere un interessante elemento che spiega meglio al lettore in quali circostanze è nata l'opera che si appresta a leggere, un'introduzione fine a sè stessa che in realtà altro non è che un unico, lungo spoiler dell'intera trama non si poteva ma si doveva evitare, o perlomeno usare come postfazione.
Detto ciò, il lettore meticoloso che avesse letto queste pagine introduttive saprebbe che, al momento della pubblicazione de Il segreto del Bosco Vecchio, Buzzati lavorava già da sette anni al Corriere della Sera, e che da sempre provava un'immensa passione per la montagna e l'alpinismo.
Ed ecco spiegato il libro: appare infatti come la cronaca giornalistica dei surreali e fantastici fatti che accadono nella Valle di Fondo e sui monti che la circondano. I protagonisti non solo gli esseri umani, ma praticamente tutto viene dotato di vita e di pensiero, animali, piante, venti ed i famosi genî. Ma al contrario di quanto accade spesso, Buzzati non pone una netta linea di separazione umani/cattivi e non umani/buoni. Ognuno può avere pregi e difetti, vizi e virtù, e sta solo ad egli stesso decidere come comportarsi.
Abbiamo detto chi sono i personaggi, ed abboiam parlato dello stile giornalistico; rimane da dire di cosa tratta il libro. Nonostante la lunga introduzione non ci sono elementi per avere la certezza dell'origine che sta alla base di esso; la mia teoria è che si tratti di storie del folklore bellunese che l'autore ha preso e trasformato per farne una sorta di racconto fantastico dalle atmosfere vagamente dark.
Un romanzo molto particolare, che forse non consiglierei a chi non avesse mai letto nulla di Dino Buzzati in quanto non semplicissimo, nonostante le apparenze. Ma comunque una lettura degna di nota, in particolar modo se si considera che ha quasi ottant'anni.

BW

Nella nostra libreria:
Dino Buzzati
Il segreto del Bosco Vecchio
ed. Oscar Mondadori
44 + 149 pag.

 

mercoledì 22 gennaio 2014

La nobile arte dell'insulto - Liang Shiqiu (1926)

"L'insulto può essere anche un modo per dare libero fiato ad un certo tipo di emozioni. Se dentro di sé montano emozioni di risentimento o di rabbia, a maggior ragione tale sfogo è ancora più indispensabile. Reprimendo costantemente il desiderio di insultare il prossimo, infatti, prima o poi la salute ne risente sviluppando malanni. Perciò che male ci sarà mai nel nutrire tale desiderio?"
Liang Shiqiu


RECENSIONE
Viviamo un periodo storico in cui ormai l'insulto è diventato parte del vivere quotidiano e tutti si offendono lasciandosi andare ad urla e schiamazzi a partire da squallidi salotti televisivi in cui l'insulto e la parolaccia vengono, neanche troppo velatamente, incoraggiati, fino ad arrivare alle aule del parlamento dove coloro che dovrebbero dare l'esempio ai cittadini danno il peggio di sè.
In questo crescente clima di caos e di maleducazione leggere un'opera che sprizza intelligenza e una sottile ed affililatissima ironia come La nobile arte dell'insulto risulta quasi terapeutico. 
Scritto di ritorno da un soggiorno ad Harvard da colui che tradusse in cinese gran parte dell'opera di William Shakespeare, questo volumetto (se togliamo la prefazione di Michele Serra ed una nota del curatore Gianluca Magi non si arriva alle cinquanta pagine) rappresenta prima di tutto, nonostante quello che si possa pensare leggendo il titolo, un grandissimo esempio di cultura.
Intanto perchè ci insegna che si può anche ingiuriare senza essere per forza maleducati o superare le soglie del buon gusto, concetto questo sempre più alieno a noi, ma anche perchè effettivamente uno dei principali precetti di questo testo si basa sul fatto che non tutti si meritano di essere insultati; al contrario, usare questa arte molto particolare nei confronti di una persona talmente rozza o dozzinale da non riuscire a cogliere le più piccole sfumature presenti in un determinato affronto sarebbe come dare in pasto ad un branco di porci del pregiatissimo caviale.
Volendo un po' banalizzare si può dire che c'è molta filosofia orientale in tutto ciò, però, pur non conoscendo io a fondo questo tipo di cultura, credo si possa affermare che effettivamente molti dei concetti espressi esposti nel libretto in questione siano talmente avulsi dalla nostra cultura di occidentali da risultare terribilmente affascinanti.
Lettura che consiglio vivamente a tutti sperando che possa farci riflettere su di un sempre maggiore involgarimento della società in cui viviamo (e il sottoscritto non rappresenta certo un'eccezione, anzi!) e magari ci insegni anche a contare fino a venti prima di coprire dei più turpi epiteti il nostro malcapitato interlocutore.
Per rendere più chiara l'idea dello stile usato e degli argomenti trattati, chiudo infine riportando quelli che sono i dieci capitoli (o comandamenti) di questo breve saggio che è stato anche ribattezzato, in maniera più che mai geniale ed appropriata, Le arti marziali della parola.

I    -  Conoscere se stessi, conoscere gli altri
II   -  Non insultare chi non è al nostro livello
III  -  Sapersi fermare al momento giusto
IV   -  Colpire di fianco, attaccare obliquamente
V    -  Contegno pacato
VI   -  Servirsi di espressioni e maniere eleganti
VII  -  Ritirarsi per avanzare
VIII -  Presupporre e stare in agguato
IX   -  Fare molto con pochi argomenti
X    -  Allearsi ai lontani per attaccare i vicini

BF

Nella nostra libreria:
Liang Shiqiu
La nobile arte dell'insulto (罵人的藝術 - Marendeyishu) 
ed. Einaudi
48 pag.
traduzione di Gianluca Magi



martedì 21 gennaio 2014

L'arte della guerra - Sun Tzu (stimato tra il VI e il IV sec. a.C.)

"1. Sun Tzu disse: L'arte della guerra è di vitale importanza per lo Stato.
2. É una questione di vita o di morte, una scelta che può condurre alla salvezza o alla rovina. Perciò si tratta di un argomento d'indagine che in nessun caso può essere trascurato."
Sun Tzu

RECENSIONE
Se a distanza di due millenni e mezzo dalla sua creazione L'arte della guerra è ancora considerato un manuale di strategia militare attualissimo, un motivo c'è. Non solo; con l'evolversi della società esso ha trovato spazio in altri ambiti, tanto che numerose sono le aziende che lo ritengono un libro fondamentale.
Dire che lo stile sia stringato è un eufemismo; d'altronde probabilmente esso fu scritto su stecche di bambù dal leggendario generale cinese (o da chi per esso), ed è quindi logico che non possa essere un trattato prolisso.
L'opera è divisa in tredici capitoli, ognuno dei quali composto da paragrafi molto brevi, spesso lunghi una sola frase. Essi sono:

I    -  Piani strategici
II   -  Muovere guerra
III  -  Attacco per mezzo di stratagemmi
IV   -  Disposizioni tattiche
V    -  Energia
VI   -  Punti deboli e punti forti
VII  -  Manovrare
VIII -  Variazioni tattiche
IX   -  L'armata in marcia
X    -  Il terreno 
XI   -  I nove tipi di terreno
XII  -  Attacco con il fuoco
XIII -  L'uso delle spie
L'arte della guerra è un libro molto interessante, e non a caso è classificato tra i testi di filosofia, proprio per la versatilità dei suoi contenuti. Personalmente trovo che sia affascinante, e che alcune delle sue direttive si potrebbero tranquillamente applicare nella propria vita di tutti i giorni, sicuramente migliorandola. Mi sembra altresì superfluo specificare che ciò ovviamente non significa uscire di casa armati fino ai denti e fare una strage; prendiamo ad esempio la sentenza 20. del capitolo I: "Se egli (il nemico) è sicuro in ogni settore, sii preparato a tenergli testa. Se egli è superiore in forze evitalo." Mi pare lampante che questa "strategia" sia applicabile e consigliata anche nella quotidianità.
Voglio concludere il post dedicato a questo breve libro con un episodio della vita di Sun Tzu che mi ha molto colpita:
In occasione di un'udienza presso il Sovrano, gli fu chiesto di mettere alla prova la sua abilità di comandante formando un esercito con le dame e le concubine di corte. Poichè i suoi sforzi per disciplinare una simile truppa non portavano ad alcun risultato e gli ordini non causavano che ilarità, Sun [Tzu] comandò di decapitare le donne che svolgevano il ruolo di ufficiali. Il Sovrano teneva molto alle sue donne e desiderava che fossero risparmiate, ma Sun [Tzu] fu irremovibile e replicò che il Comandante in capo non era tenuto ad obbedire ai suoi ordini. Procedette quindi alla esecuzione delle ribelli e poi si congedò presentando al Sovrano un esercito a questo punto perfettamente addestrato e pronto alla battaglia. Sun [Tzu], allontanandosi, commentò con disprezzo il dolore del Sovrano dicendo che il suo Signore preferiva le parole ai fatti. Richiamato, il Maestro fu poi nominato Generale comandante e sconfisse gli stati di Chu, Qi e Jin acquistando grande reputazione.
BW
Nella nostra libreria:
Sun Tzu
L'arte della guerra (孫子兵法 - Sūnzǐ Bīngfǎ)
ed. Rusconi Libri
29 + 64 pag.
a cura di Mauro Conti
 

lunedì 20 gennaio 2014

Quella maledetta estate - Giovanni Minoli (2007)

"Non lo dico, il Paese che ha mandato l'aereo ad abbattere sul... e che ha puntato male il missile [...]. Guardi che il nome di questo Paese è stato scritto da tutti i giornali. Ma io non voglio che venga presentata una sorta di protesta ad una grande potenza alleata ed amica. E non sono gli Stati Uniti d'America."
Francesco Cossiga, intervista a RadioRai, 25 gennaio 2007


RECENSIONE
É la sera di venerdì 27 giugno 1980 quando tutto ha inizio. Un Dc-9 dell'Itavia partito da Bologna e diretto all'aereoporto di Palermo esplode nei cieli a nord dell'isola di Ustica. L'ultimo contatto tra i piloti dell'aereo e i vari controllori di volo che ne seguono il tragitto tra l'Emilia e la Sicilia avviene alle 20,59. Poi, improvvisamente, più nulla. I morti saranno 81: è quella che diverrà tristemente famosa come la strage di Ustica. Si fanno da subito le ipotesi più disparate: si parla di una bomba a bordo, di un cedimento strutturale, di un missile, di una collisione con un altro velivolo ed anche di una battaglia aerea nei cieli del Mar Tirreno ma alla fine il lungo iter giudiziario si chiuderà senza colpevoli. Nel frattempo spariranno i tracciati radar, alcuni operatori che erano in servizio quella sera verranno esplicitamente invitati a fare silenzio sulla vicenda e diversi testimoni-chiave troveranno la morte in circostanze misteriose.
Passano appena trentacinque giorni da quel tragico venerdì sera e la storia si ripete. 
Il mattino di sabato 2 agosto infatti la stazione di Bologna è gremita di persone che attendono con impazienza i treni che le condurranno nelle varie mete di villeggiatura. Alle 10,25 l'inferno. Una bomba contenuta in una valigia all'interno della sala d'aspetto di seconda classe scoppia, devastando completamente un'intera area dell'edificio ed investendo anche il treno Ancona-Chiasso, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, nonchè il parcheggio dei taxi antistante la stazione.
É una vera carneficina: i morti saranno 85 e i feriti più di 200, alcuni dei quali subiranno gravi mutilazioni.
Per questa ecatombe sono stati condannati come esecutori i terroristi neri Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, ma la sentenza lascia insoddisfatti non solo quelli che non sono convinti della loro colpevolezza, ma anche i famigliari delle povere vittime che attendono ancora, a distanza di più di trent'anni, di sapere chi furono i mandanti di quel tremendo massacro.
Questo testo di Giovanni Minoli (realizzato con la collaborazione di Piero A. Corsini), al quale è allegato un DVD contenente l'interessantissimo documentario curato da Giulia Foschini e Marco Melega, cerca di far luce su quello che nessun tribunale ha mai appurato, ossia un possibile collegamento tra le due stragi.
Scritto in modo molto chiaro e comprensibile, Quella maledetta estate tra le altre cose ci dà l'opportunità di leggere (ed ascoltare sul DVD) le conversazioni, letteralmente allucinanti, che avvennero la sera del 27 giugno 1980 tra i vari operatori radar e lo Stato Maggiore dell'Aereonautica subito dopo la perdita di contatto con il Dc-9.
Il libro inoltre ricostruisce molto bene quello che era lo scenario politico internazionale di quei giorni, approfondendo tutte le piste legate alla tragedia di Ustica e proponendo una serie di documenti inediti riguardanti la strage della stazione di Bologna.
Un documento a mio avviso molto importante per provare a capire qualcosa di più su due delle pagine più nere della nostra storia, a prescindere dalle idee personali che ognuno può essersi fatto in merito, e per tentare di dare una risposta ai tanti interrogativi che ci si pone sul perchè in poco più di un mese siano morte 166 persone.

BF

Nella nostra libreria:
Giovanni Minoli (con Piero A. Corsini)
Quella maledetta estate. Ustica 1980: una strage italiana
ed. Rai Eri / Rizzoli
114 pag. + DVD




domenica 19 gennaio 2014

Omero, Iliade - Alessandro Baricco (2004)

"La guerra è bella anche se fa male"
Francesco De Gregori, da "Generale"

RECENSIONE (1)
È innegabile che quando una persona si permette non solo di modificare ma addirittura di integrare con parti di sua invenzione un capolavoro della letteratura mondiale di tutti i tempi come l'Iliade deve avere per forza un ego ed un autostima smisurati.
L'autore infatti, come spiega egli stesso nell'introduzione a quest'opera, ha fatto "alcune, poche, aggiunte al testo", anche se gli va riconosciuta l'onestà di averle "dichiarate" scrivendole in corsivo.
Ma Baricco non si è limitato a queste poche aggiunte: l'intero libro è permeato dal suo classico stile inconfondibile, fatto di ripetizioni quasi ossessive e di un gran uso di parole desuete (ed uso apposta questo termine).

RECENSIONE (2)
È innegabile che quando uno sa scrivere, sa scrivere. Certamente, si è permesso la "blasfemia" di modificare l'opera di Omero, ma l'ha fatto comunque in modo che le sue integrazioni si fondessero perfettamente con l'originale. Anche perchè questo libro nasce come la trasposizione di una lettura pubblica, e la necessità di alleggerire e rendere più accattivante e facile all'ascolto il poema millenario ha reso quasi d'obbligo questa strategia.
E seppur è vero che lo stile di Baricco è presente nel libro, ciò non si discosta molto dall'originale, dove Omero per cantare le gesta degli eroi di entrambe le fazioni ne elenca gli innumerevoli nomi ed azioni. Quella dell'autore piemontese può essere quindi vista come una citazione od una ripresa dell'originale.

CONCLUSIONE
Bene o male l'Iliade la conosciamo tutti, se non altro dai tempi della scuola; non avete dunque bisogno che vi racconti la trama per darvi un'idea di cosa tratti il libro.
Qui sopra piuttosto avete appena letto i sentimenti contrastanti che trasmette la lettura di quest'opera, e vi assicuro che essi convivono in conflitto nella stessa persona. A questo punto sta a voi scegliere quale dei due prevale sull'altro, determinando il vostro giudizio su Omero, Iliade.

BW

Nella nostra libreria:
Alessandro Baricco
Omero, Iliade
ed. Universale Economica Feltrinelli
163 pag.